“A Scanno ci ospitarono, ci dettero da mangiare,
il poco che c’era da mangiare. Un giorno camminando per la strada, si
aprì una finestra e una vecchietta mi dette un pezzo di pane e un pezzo
di salame.” Non è il ricordo di un mendicante, ma di un banchiere,
di un Presidente della Repubblica. E’ il ricordo di Carlo Azeglio Ciampi
che, giovane sottotenente, riparò nel piccolo paese abruzzese per non
aderire alla Repubblica fascista di Salò.
I mesi trascorsi a Scanno e l’ospitalità della gente d’Abruzzo hanno
lasciato in lui un’impronta molto profonda, tanto che li ricorda spesso.
Sono passati quasi settant’anni da quei tempi di misera e di morte,
eppure non c’è un suo libro o una sua conversazione sulla guerra che non
rievochi la generosità e la lealtà degli abruzzesi e non esprima la sua
riconoscenza. E’ illuminante la dedica del suo recente libro “La
libertà delle minoranze religiose”. Dice: «Al mare di Livorno, di
cui sono figlio. Alle montagne d’Abruzzo, che mi hanno adottato». “Adottato”,
cioè trattato come un figlio. La stessa espressione torna
nell’altro suo libro “Da Livorno al Quirinale”. Vi racconta come
in quei mesi di sbandamento generale, di caduta di ogni valore e di ogni
certezza, nell’assenza di riferimenti istituzionali, si compiva il
processo di maturazione della sua coscienza civile e politica. La sorte
lo aveva aiutato, gli aveva fatto ritrovare, nel suo rifugio di Scanno,
l’antico professore di filosofia della Normale di Pisa, Guido Calogero,
condannatovi al confino per il delitto di antifascismo. Durante le
conversazioni quasi quotidiane il filosofo gli insegnò «come il
principio cristiano dell’amore verso il prossimo si inverasse nel
rispetto pieno, incondizionato, dell’alterità, presupposto di ogni
libertà, civile, politica, religiosa». Andava così maturandosi per
la vita pubblica che lo attendeva la sua educazione di credente laico,
di liberal-democratico. Al giornalista Arrigo Levi , che gli
domanda perché Scanno gli è rimasta nel cuore, risponde: “a
Scanno sapevano chi eravamo, che io ero un ufficialetto renitente alla
leva della Repubblica di Salò; che Sadun (un suo amico di scuola, ndr)
era un ebreo. Vi erano altri giovani di varie nazionalità, anche slavi.
Arrivammo a fare letteralmente la fame, perché non c’era più niente. Ad
un certo punto mangiavamo le rape che si danno alle pecore, arrostite su
una stufa. Ci fu da parte della cittadinanza una lealtà piena nel non
denunciarci ai tedeschi, e nel condividere con noi “il pane che non
c’era”. Per questo è rimasto in me un profondo sentimento di
riconoscenza per questa popolazione che mi ha adottato”. E Ciampi
ne sottolinea la generosità innata, la naturale inclinazione ad aiutare
le persone in pericolo, come i prigionieri alleati fuggiti dai campi
di concentramento. I tanti libri di memorialistica inglese confermano
che i tremila protagonisti della “Grande Fuga” dal campo di
Sulmona e i settantaduemila sul territorio nazionale poterono
salvarsi dalla deportazione in Germania grazie all’aiuto della
popolazione italiana che, a rischio della vita, li nascose, li vestì e
li sfamò. E, spesso, li guidò oltre il fronte, fino a farli
ricongiungere alle truppe liberatrici al di là della Majella e
del Sangro, al di là della linea Gustav. Scrive Silone che il
grande scrittore sudafricano Uys Krige, autore del libro “Libertà
sulla Maiella”, gli parlò “con le lacrime agli occhi dei pastori”
abruzzesi e che “non esitava ad affermare che il tempo passato fra
essi era il più bello della sua vita, avendo allora intravisto, per la
prima volta, la possibilità di relazioni umane assolutamente pure e
disinteressate”.
Si realizzò “una strana alleanza”, come la definì lo storico inglese
Roger Absalom, il maggiore studioso di quel fenomeno di spontanea
intesa fra la popolazione e i prigionieri. Una “resistenza umanitaria”,
una scelta di campo antifascista più o meno consapevole, che fece da
humus etico-politico alla resistenza armata. Così la interpretò il
Presidente Carlo Azeglio Ciampi nel discorso di inaugurazione della I
Marcia de “Il sentiero della libertà” - maggio 2001- promossa dal
liceo scientifico di Sulmona, che ripercorreva il percorso di fuga
attraverso la Maiella: “Fu questo il terreno su cui nacque,
spontaneamente, come scelta di popolo, la Resistenza. Vi è una
continuità spirituale e materiale fra l’ assistenza data da gente di
ogni classe sociale a coloro che cercavano rifugio in queste città, in
questi paesi, in queste montagne, e la costituzione della Brigata
Maiella”. E in quella circostanza ricordò: “Anch’io fui uno di
loro. Lasciai Sulmona, lasciai coloro che mi avevano accolto come un
fratello, la sera del 24 marzo del 1944. In quelle giornate, in quei
mesi di tragedia e di gloria, le popolazioni di queste regioni diedero
prova di straordinario eroismo”.
Anche nell’ultimo suo libro, “Non è il paese che sognavo”,
Ciampi, nel fare un bilancio dei 150 anni dell’Unità d’Italia,
torna a ricordare il soggiorno scannese e racconta la sua
traversata della Maiella, nel marzo del ‘44. Una delle tante che
partivano da Sulmona e, attraverso il massiccio montuoso, raggiungevano
il Sud liberato. Su quell’avventura giovanile aveva scritto un diario
che donerà al liceo scientifico di Sulmona e che verrà pubblicato sul
libro della Laterza, “Il sentiero della libertà”, 2003. Il giovane
sottotenente Ciampi che anelava a raggiungere il suo reparto, il 9°
Raggruppamento Autieri attestato a Bari, poté finalmente aggregarsi ad
un gruppo eterogeneo di italiani e di prigionieri di guerra, condotto da
una guida, che da Sulmona, attraverso il Guado di Coccia, avrebbe
tentato la traversata del massiccio abruzzese. Ciampi nel diario
racconta che dal pomeriggio del 24 marzo 1944, per tutta la notte e fino
al pomeriggio del 25, per ininterrotte 22 ore, circa 60 uomini, mal
equipaggiati per calzature e abbigliamento e mal nutriti, s’inerpicarono
per i sentieri impervi, resi proibitivi da una tempesta di neve. Tant’è
che dieci dei sessanta compagni non videro l’alba sorgere
dall’Adriatico, scomparsi, per fatica e per assideramento. Il diario
testimonia il coraggio e il senso civico del giovane Ciampi che risponde
al richiamo della patria divisa, occupata, perduta. Vuole esserci per
contribuire a ricostruirla. Il diario è un’annotazione puntuale, senza
retorica, senza quella retorica che aveva ammorbato il ventennio.
Partono mentre Sulmona brucia sotto i bombardamenti. Dopo aver schivato
più controlli tedeschi, raggiungono Campo di Giove e prendono a salire
verso il Guado di Coccia. Sprofondano nella neve cedevole e scivolano su
quella ghiacciata. Ciampi cerca di aiutare un inglese in difficoltà che
si attarda, ma la guida non glielo permette, non vuole, per la riuscita
della spedizione, che si perda tempo prezioso. L’inglese sarà il primo a
rimanere indietro, nella neve. Sul Guado, prima dell’alba, infuria la
tormenta. Impossibile proseguire. Persino le guide che conoscono la
montagna non si orientano più. Sono fermi, nel freddo, sperando in una
schiarita. Il tenente Ciampi, con una scarpa sdrucita, senza il basco
portato via dalla bufera, si avvolge il capo con una maglia irrigidita
dal ghiaccio. Si riparte finalmente, ma si decide di non salire più, di
tenersi a mezza costa. A valloni seguono valloni. Disorientata dalla
bufera, la guida fa scendere il gruppo troppo in basso, verso Palena,
occupata dai tedeschi, rischiando di finire nelle loro mani come era
capitato alla “traversata” di qualche settimana prima. Ciampi, forse
l’unico fornito di bussola, dà l’allarme. Si decide di risalire. Il
gruppo si sfilaccia, alcuni si perdono nella bufera. Anche uno dei due
suoi carissimi amici sulmonesi non ce la fa più, è esausto. Si lascia
cadere sulla neve. Supplica che lo lascino lì, che proseguano senza di
lui. Ciampi lo rinfranca un po’ facendogli scivolare dello zucchero in
bocca. Debbono sorreggerlo, finiscono dietro rischiando di perdere il
contatto con gli altri, le cui orme il vento impetuoso subito cancella.
Al mattino, finalmente, sono nel vallone di Taranta Peligna, nella terra
di nessuno. Si scende. Finalmente si respira, anche se le mani e i
piedi, la maglia che gli fa da cappello, sono congelati e i guanti di
lana bagnati.
La liberazione ha il volto di un tenente indiano che viene loro incontro
dal paese, Taranta Peligna, deserto e distrutto. Sono
stati fortunati, i tedeschi sono lì vicino, ad un chilometro. Radio
Londra annuncerà l’avvenuta traversata con il messaggio in codice: “Una
stella sulla Majella”.
Ma per Ciampi non è finita. Viene interrogato e perquisito nell’ufficio
del “Fiel security section”. Gli vengono sequestrate le sue
povere cose di fuggiasco. Persino il fazzoletto. Nelle notti successive
dorme per terra e in promiscuità, nutrendosi più con la sua residua
scorta che con lo scarso cibo che gli viene passato. C’è aria di
diffidenza e di sospetto nei suoi confronti. Viene interrogato più
volte. Gli inquisitori cercano prove: spezzano una candela, sbriciolano
un torrone di fichi secchi, rovistano nell’astuccio del pronto soccorso.
Viene rinchiuso nella camera di sicurezza della caserma dei
carabinieri di Casoli, poi nei campi di concentramento di Paglieta e di
Guglionesi. Durante uno degli interrogatori, riesce a sbirciare la
scritta sulla copertina del suo fascicolo. C’è scritto “Definitely
suspect”. E’ sospettato, ritengono che sia una spia. Capisce che i
sospetti nascono dai visti tedeschi sul suo passaporto per le borse di
studio all’Università di Lipsia.
Ha una buona idea. Cita i nomi di due sulmonesi che si prodigano
nell’aiuto ai prigionieri di guerra fuggiaschi. Nomi che gli inglesi
conoscono. Gli riesce. E’ libero. Può raggiungere Bari. Riprende
servizio al 9° Autieri. Consegna alla “Laterza” il manoscritto sul
liberal-socialismo che Guido Calogero gli ha affidato e che teneva
nascosto nei calzettoni. Partecipa con passione a quel laboratorio di
vita democratica che era allora l’improvvisata capitale del regno del
sud. Conosce e frequenta personaggi di spicco, Giorgio Amendola, Giorgio
Spini, il segretario del Partito d’Azione, Scarangella, il prof Carlo
Lavagna, il prof. Tommaso Fiore. Matura simpatie per il partito
d’Azione, ma prova fastidio per quell’ eccesso di intransigenza che
poterà il partito al fallimento:”non comprendo, annota, questa
intransigenza che se pure è giusta in sede di principi, non è opportuna
nella situazione presente; ed in politica ritengo che si debba a volte
dare la preferenza all’opportuno”. Diffida della democraticità dei
comunisti e aspira, data la situazione di estrema emergenza, ad una
unità di intenti di tutti i partiti. Non nasconde il suo antifascismo
fino a sfidare le eventuali punizioni disciplinari. S’indigna nel
sentire i discorsi dei colleghi, “in quel covo di fascisti e di
retrivi conservatori o al meglio di scettici al cento per cento” che
è il 9° Autieri. Il diario si chiude il 22 aprile‘44, giorno di
nascita del secondo governo Badoglio, con la soddisfazione di Ciampi per
la partecipazione di tutti i partiti del Congresso di Bari.
A Scanno o sulla Maiella si forma il Ciampi che conosciamo e stimiamo?
Antonio Padellaro non ha dubbi: “ E’ quel giorno sulla
Majella che il periodo di formazione di un futuro capo dello Stato si
completa”.
Ezio Pelino