Questa mattina Sabato 27 Maggio 2017, dalle ore 8:15, presso il Cinema Teatro Comunale di Casoli, ci sarà l'evento 'Giornata Premio 2017' dell'Istituto 'A. Marino' dove saranno premiati gli studenti vincitori e l'artista Sebastiano A. De Laurentiis
Premio 'Algeri Marino' all'artista De Laurentiis
Durante questa seconda edizione della Giornata
Premio A. Marino 2017, si parlerà di arte e dell'artista stesso, con
interventi di persone altamente qulificate nel settore. Ci sarà la
proiezione di un video, la consegna del riconoscimento ideato
dall'istituto superiore per valorizzare la cultura locale e le
personalità che hanno contribuito alla crescita del territorio. Non
mancheranno gli intervalli musicali a cura dgli studenti e del
Coro Teen Choir
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L’Istituto di Istruzione Superiore “Algeri
Marino” di Casoli promuove per il secondo anno l’assegnazione del Premio “Algeri
Marino”, di cui reca l’intitolazione, con la finalità di promuovere cultura,
riflessione e progettualità in quanto “servizio formativo” per i giovani, ma
anche con una profonda connotazione territoriale.
Si tratta del
riconoscimento che la scuola intende attribuire a persone che, in settori
diversi, si sono distinti per aver dato valore aggiunto al territorio in merito
ad aspetti culturali, economici, politici e civili; aver praticato idee
innovative e risoluzioni diverse alla tematica di riferimento; aver contribuito
a migliorare l’identità del territorio in un senso umano e valoriale.
Il
Comitato della scuola ha individuato la tematica dell’Arte e ha inteso
attribuire il Premio all’artista Sebastiano A. De Laurentiis.
All’autore sarà consegnata l’opera costituente il Premio, realizzata dalla
studentessa Desirè Vizzarri.
Il senso dell’assegnazione del Premio si
configura su diversi livelli:
il comunicare ai giovani l’importanza
dell’iniziativa, della volontà e della passione personale sia per la riuscita
delle proprie aspirazioni che del contributo che con la propria vita si può
offrire alla comunità di appartenenza e all’intera umanità. A livello didattico,
si è stimolata la comprensione e la valorizzazione degli alunni di quanto
proposto attraverso un impegno attivo sulla tematica scelta dalla commissione
interna per questo secondo anno con la loro partecipazione a un concorso sulla
produzione artistica;
la corrispondenza tra l’intenzione educativa e
formativa di cui sopra con la figura emblematica di Algeri Marino, a cui
l’Istituto deve l’intitolazione. A. Marino, originario di Casoli, fu una persona
geniale: fu pioniere dell'uso della radio in aviazione; ideò e costruì gli
impianti ricetrasmittenti dei dirigibili Norge e Italia per le spedizioni polari
di Umberto Nobile e per la crociera transatlantica di Italo Balbo del 1933.
Generale del genio aeronautico, fu direttore delle ricerche del Ministero
dell'Aeronautica e promosse l'istituzione dei laboratori dell'aeronautica
militare di Guidonia. Nel 1948 divenne professore ordinario di comunicazioni
elettriche presso l'Università di Roma, di cui diresse anche l'istituto di
elettronica. Fu promotore e coordinò la realizzazione della rete italiana di
ponti radiotelefonici a banda larga. Oltre al suo contributivo di conoscenza
alla ricerca nelle telecomunicazioni, fu definito dal ministro Spagnolli
l’apostolo dell’elettronica perché dell’apostolo ebbe la modestia della vita e
l’entusiasmo per quella scienza in cui fermamente credeva. Ma dell’apostolo egli
aveva anche il carattere improntato all’umiltà, alla benevolenza e alla completa
disponibilità nei confronti di tutti. Dalle testimonianze di chi lo ha
conosciuto emerge il ritratto di un uomo buono e mite, profondamente legato alla
famiglia, instancabilmente dedito al lavoro e alla ricerca, un Uomo di Scienza
che non negava a nessuno un suo consiglio disinteressato e competente;
la
valorizzazione di persone “locali” che, con loro attività/studi/impegni, abbiano
contribuito ad arricchire il proprio contesto di appartenenza, fornendo apporti
sostanziale al mondo della cultura, dell’economia, della politica e della
civiltà.
PROGRAMMA
La Giornata Premio Algeri Marino si svolgerà al Teatro
Comunale di Casoli il 27 maggio 2017 e avrà la seguente articolazione:
ore
8.15, Accoglienza
ore 8.30, Benvenuto, Gruppo di Chitarre degli Studenti,
dirige Lina ARDENTE
ore 9.00, Saluti istituzionali
ore 9.10, Il saper fare
nelle opere di Algeri Marino, prof. Rocco IEZZI, docente
ore 9.30, Parliamo
di arte contemporanea, prof. Antonio ZIMARINO, critico d’arte
ore 10.00,
Biografia dell’Autore, prof. Leo DI LORETO, docente
ore 10.20, I Canti della
Terra, video a cura di Stefano ANDRETTA e Loredana ZINNI
ore 10.30, L’incanto
del paesaggio in Sebastiano A. De Laurentiis, dott.ssa Adriana MARTINO, critico
d’arte
ore 10.35, Premiazione dell’Autore
ore 10.50, Break
ore 11.20,
Premiazione degli Studenti vincitori del Concorso “Premio Algeri Marino” a cura
della Commissione
ore 11.30, Arte Natura. Un’Associazione per il territorio,
Andrea LANNUTTI e Vincenzo MURATELLI, sindaci
ore 11.40, ll valore dell'Arte
nella formazione, Elena LA MORGIA, docente
ore 12.10, Sebastiano A De
Laurentiis e il progetto Arte Natura: eccellenze abruzzesi da (ri)proiettare
sulla scena artistica internazionale, dott.ssa Lucia ARBACE, direttore del Polo
Museale d’Abruzzo
ore 12.20, Performance del Coro Teen Choir, dirige Mara
FIORITI
ore 12.50, Conclusioni
Sebastiano A. De Laurentiis – L' Incanto del
Paesaggio
di Adriana Martino
Il valore della ricerca artistica di Sebastiano A. De
Laurentiis è tutto nel suo Genius Loci. Questo è quanto caratterizza l'intero
lavoro o ciò che l'artista desidera rappresentare fin dagli esordi osservando
meticolosamente, prima, e restituendo in una esplorazione accanita, poi,
l’Incanto del Paesaggio abruzzese. Nelle sue opere o installazioni troviamo il
paesaggio delle proprie radici, quello che già fu caro a
Francesco Paolo
Michetti, come allo stesso Gabriele D’Annunzio, quando ne rappresenta, il primo,
la natura e il dramma spesso popolare con opere quali Le Serpi, Gli Storpi,
ecc., o anche ne
declama, il secondo, i versi solenni e poetici ne La Figlia
di Iorio.
Le radici di De Laurentiis affondano dunque nel paesaggio
italiano agricolo da dove egli trae ispirazioni e spunti, per produrre “strappi”
incisivi che compongono opere simili ad affreschi. Di sicuro, e in ogni
caso,
non si rimane mai indifferenti di fronte al contatto con una qualsiasi delle sue
opere.
Questo semplicemente perché la visione del lavoro
è ancestrale, parla di Noi, di chi siamo, di dove andiamo o da dove veniamo. La
sua ricerca è una grande sintesi, a oltre un secolo dagli Impressionisti che
dipingevano En plain Air e il cui scopo era quello di registrare l’effettoluce
del paesaggio, in diverse ore della giornata, effetto o punto di osservazione
oggi totalmente mediato dalla fotografia. Quella di De
Laurentis è una
sintesi estrema, a debita distanza anche dal ready made di Marcel Duchamp, che
con la Fontaine, ovvero con l’Orinatoio, e con la Ruota di bicicletta portati ed
esposti nel museo, diede il via, un secolo fa, a ricerche sfociate
successivamente nell’Arte Concettuale, nell’Arte Povera, fino alla Land Art e
alle performance, le Correnti alle quali è ascrivibile la solennità e
l'importanza delle opere di De Laurentiis, nato a Roccascalegna.
Grandi temi o filoni caratterizzano la vasta produzione
dell'artista, con titoli quali “Pozzanghere”, “Viaggio alla Mecca”, “Fertilità”,
“La casa del Melograno”. Questa, proprio, tra le sue produzioni più recenti è la
suggestiva ed emozionante, vibrante casa-canneto, che racchiude e custodisce,
come in un tempio o in un giardino zen, una pianta di
melograno.
Ed è
quanto pare ci sia da salvare oramai della nuova drammaticità del mondo, secondo
la visione dell’artista. Egli indirettamente e in sintesi ci sta indicando la
Via, o la verità, semmai l'arte avesse in sé una “funzione”. Senza mancare
subito di sottolineare quanto si resti incantati di fronte alle sue molteplici
opere che hanno come materia prima il grano, raccolto in messi o composto, stelo
dopo stelo, come le tessere di un mosaico, da cui svetta l'oro o affiora la luce
dorata del
paesaggio.
Ispirato circa venti anni fa dall’idea della
nascita di un museo a cielo aperto per l’arte contemporanea, De Laurentis ha
iniziato a promuovere nel territorio abruzzese il progetto Arte-Natura,
dove ha coinvolto artisti internazionali noti che hanno aderito e risposto con
opere di rilievo o con lavori che oggi costituiscono un parco d’arte lungo i
paesi montani della Majella. Questo patrimonio merita di
essere custodito e
curato dalle istituzioni, in una auspicabile immediata Rete del Contemporaneo.
Termino
questo breve excursus avvertendo che l’Arte contemporanea, quella cioè
contemporanea a ogni epoca, non è mai compiacente. Anzi...! E questo perché ogni
Contemporaneo - dall'arte alla poesia, al cinema, ecc. - è conturbante, perché
inquietanti sono le epoche e le relative società che lo producono. L’artista ne
è il filtro dai larghi fori, ispirato in via privilegiata da visioni illuminate
BIOGRAFIA DELL'ARTISTA
SEBASTIANO A. DE LAURENTIIS; UNA VITA PER L’ARTE E LA
NATURA
Sebastiano De Laurentiis nasce nel 1938 a Roccascalegna (Ch), uno dei
borghi più incantevoli d’Abruzzo, sospeso su rocce dominanti uno scenario
naturale di grande bellezza. Lo spettacolo di una terra così straordinaria e
incontaminata, così coinvolgente nei mutamenti incessanti delle sue forme e
colori, inevitabilmente, seduce un’anima dall’inclinazione artistica e poetica
come quella di De Laurentiis che, in uno stato di innamoramento perenne con la
natura, avverte l’esigenza crescente di interagire con essa, di mostrarla con
orgoglio agli altri, indicandone frammenti e visioni che possono sfuggire allo
sguardo superficiale e distratto dell’uomo contemporaneo.
Gli studi d’arte a Pesaro e in seguito all’Accademia di
Roma, gli consentono di acquisire gli strumenti per esprimere le sue pulsioni
interiori, per realizzare le sue idee e i suoi sogni, per condurre ricerche e
sperimentazioni che orientano e liberano il suo spirito creativo in molteplici
espressioni artistiche, dal disegno alla pittura dalla scultura ai metalli.
La sua palestra più vera, tuttavia, è il confronto diretto con gli artisti
operanti a Roma in quegli anni, come Franco Gentilini (1909-1981), Pericle
Fazzini (1913-1987), Jannis Kounellis (1936), Mario Schifano (1934-1998), Pino
Pascali (1935-1968), Tano Festa (1938-1988), e numerosi altri, con i quali
quotidianamente s’incontra nelle trattorie, nelle osterie, nei caffè letterari,
nelle gallerie oppure in via Ripetta, Piazza del Popolo, Campo dei Fiori, via
Margutta, via del Babbuino, luoghi
privilegiati di ritrovo e di accesi
dibattiti culturali di tutti gli artisti, letterati, poeti, intellettuali,
cineasti e musicisti italiani e stranieri.
Il clima che si respira a Roma, come in altre città
italiane, in particolare a Milano e Torino, a partire dalla fine degli anni
Cinquanta è incandescente, agitato da un’aperta ribellione contro il passato e
da una incontenibile esigenza di cambiamento e di libertà, che investe tutti gli
aspetti della vita sociale, politica e culturale ma che nell’arte esploderà nei
decenni successivi, in particolare negli anni Sessanta, in un Big Bang
imprevedibile, clamoroso, multiforme e spettacolare, stimolato e accelerato
dalla velocità di circolazione delle informazioni e dall’acquisizione delle
nuove tecnologie.
Correnti e tendenze si susseguono, intrecciano e
diffondono a velocità mai viste prima, “tanto da far parlare di impollinazione
incrociata, «crosspollination tra linguaggi», e altrettanto velocemente
scompaiono per essere sostituiti o affiancati da altri, dando vita ad un enorme
e tentacolare laboratorio, brulicante di sperimentazioni e ricerche: Pop Art,
Minimalismo, Process Art, Arte povera, Arte Concettuale, Land Art, Earth works,
Performance Art, Body Art, sono soltanto alcune delle innumerevoli proposte che
rimbalzano tra l’America e l’Europa. Tutte, pur nella specificità delle
rispettive poetiche, sono accomunate dalla volontà di cancellare definitivamente
l’opera d’arte quale icona statica, chiusa in se stessa, circonfusa da un’aura
sacrale, distante dal suo pubblico. Esse intendono invece sradicarla dal
piedistallo, spezzarne i confini ed estenderla nello spazio fino a identificarla
con la vita stessa. Rifiutano non solo l’opera, le tecniche e i materiali
tradizionali, condizione già vissuta nel passato e invocata a gran voce dai
Futuristi con Boccioni, ma anche i luoghi, come i musei e le accademie, ritenuti
gabbie, sepolcri dell’empito creativo e dell’arte, e vogliono il pubblico
co-protagonista della performance, per stupirlo, disorientarlo, provocarlo con
spunti di riflessione.
De Laurentiis negli anni del soggiorno a Roma si nutre di
questa temperie e di questi umori e respira inevitabilmente la ventata di
ribellione internazionale, anzi, ne sarà soggetto attivo all’interno di gruppi
impegnati in accalorate dispute teoriche sui nuovi orientamenti artistici e
vivaci contestazioni contro il sistema e la mercificazione dell’arte, che talora
sfociano in episodi eclatanti tesi a scuotere l’opinione pubblica.
A soli
ventun anni, avviata al centro della capitale un personale atelier, Sebastiano
esordisce alla Quadriennale di Roma del 1959-1960 con un’opera di forte impatto
emotivo, Le sbarre, realizzata assemblando 72.000 fiammiferi bruciati e
svastiche, racchiusi in una grata di ferro recuperata da una vecchia prigione.
L’operazione mette in atto una superba crasi tra presentazione e
rappresentazione: prende infatti gli oggetti dalla realtà in parte “tali e
quali” (svastiche e grata di ferro) e in parte rettificati (fiammiferi
bruciati), come in una readymade di matrice Duchamp, e li assembla dando vita ad
una nuova forma significante, sintesi di una narrazione in cui condensa tre
distinte dimensioni temporali, il passato, il presente, il futuro, ed
espressione nitida di un’idea e di un sentimento che arrivano diretti
all’osservatore. Il modus operandi palesa quella che sarà la poetica
dell’artista, sia che utilizzi oggetti presi dalla realtà e tecniche
avanguardiste, sia che usi elementi della natura, ossia di creare un’opera
improntata all’equilibrio e all’armonia formale e che sia portatrice di un
messaggio che coinvolga e stimoli il fruitore alla riflessione.
Il successo riscosso dall’installazione proietta De
Laurentiis alla ribalta tra gli artisti più promettenti. Viene chiamato in
Germania, dove lavora intensamente spostandosi in varie località, come Berlino,
Basilea e Colonia, e da qui inizia a viaggiare nel mondo partecipando a varie
Collettive, come a Praga, in Svezia, in Norvegia, in Messico e a New York.
Ritorna poi in Italia dove organizza mostre personali, partecipa a due
Quadriennali ed a una esposizione al Museo Traianeo di Roma, con puntate nella
sua terra d’Abruzzo, esponendo alla galleria Verrocchio di Pescara.
Nel 1964
incontra il direttore della Calcografia Nazionale Maurizio Calvesi, appena
insediatosi nel nuovo incarico, col quale stabilisce una grande intesa
intellettuale e costituisce un gruppo di ricerca sull’uso dell’acquaforte. Vive
in questo periodo un’intensa fase di sperimentazioni con la carta, l’incisione e
l’uso dei colori, che prosegue fino al 1975 con i successori di Calvesi, e da
cui deriverà una ricca, raffinata e originale produzione grafica in cui
introduce nelle fasi ultime anche elementi naturali veri, come foglie, frutti,
semi.
L’interesse originario per la natura ritorna però
pressante e lo spinge a realizzazioni che riportano in primo piano l’amore per
la terra e i suoi elementi: le spighe, le foglie, gli alberi, i sassi, i semi,
le zolle diventano i suoi quadri; tasselli strappati da un mosaico naturale
palpitante di vita, di cui l’artista vuole rammentare la bellezza e il valore
risvegliando le coscienze. Queste particelle di natura divelte, accostate o
aggregate in infinite combinazioni attraverso laboriose ricerche e il lavorio
esperto delle sue mani diventano arte anche se per un tempo limitato, fugace, in
costante lotta con la precarietà, pur di concretizzare l’idea che agita la sua
mente.
Costretto ad abbandonare lo studio romano, negli anni Novanta De
Laurentiis ritorna definitivamente nella terra d’origine. Qui, nel 1996, si fa
promotore di un coraggioso e ambizioso progetto “Arte Natura”, con l’obiettivo
di trattare lo splendido paesaggio che si stende ai piedi della Maiella come un
laboratorio, nel quale invita artisti di ogni parte d’Italia e d’Europa a
cimentarsi nella creazione di installazioni in dialogo e simbiosi con la natura
e con le comunità che vi appartengono. L’intendo è di fare dei suoi spazi
estetici familiari degli spazi di relazione sempre più ampi, praticabili da
tutti, al fine di ristabilire l’originario sodalizio con la natura, insuperabile
e unica vera espressione d’arte. Il suo pensiero istintivamente poetico, scevro
da intellettualismi e schemi mentali, si fa involontariamente politico, sociale,
antropologico e metafisico.
Dopo la potenza della perfezione derivante dalla purezza
etica e stilistica degli anni Sessanta; dopo aver scavato queste montagne con i
furori eroici e smisurati degli anni Ottanta, con “Arte Natura” De Laurentiis
sembra essere tornato al senso della misura e del limite, alla superficie
dell’essere, alla bella immagine visiva. In realtà la sua operazione è più
complessa perché presuppone un lavoro costruttivo ed ontologico non riducibile
al solo aspetto segnico e formale. Con l’opera più recente “La collina degli
alberi morti” il suo lavoro si fa più chiaramente costruzione di nuova natura e
nuova vita dove il paesaggio diventa soggetto e spinta immaginifica ad una
diversa storia. Quando l’arte e la poesia s’incontrano con l’etica diventano
ontologici solo se il nuovo essere è affidato alle cure di tutti, al nostro
impegno libero e responsabile. «L’artista ci chiede uno sforzo per portarci
all’altezza del suo linguaggio, ci fa crescere e in questo modo crea un
linguaggio, un territorio, una comunità. L’artista da individuo si fa
intersoggettività, moltitudine» (Ezra Pound, I Cantos).
Il paesaggio
diventa opera d’arte non solo perché l’artista lo incornicia e lo esalta ma
anche grazie alla conoscenza antica e al lavoro degli uomini e delle donne delle
generazioni passate che, come un artista collettivo, trasformavano e
proteggevano le nostre colline con un lavoro fine che giocava con la zolla e le
radici, con la pioggia e con il vento, con il sole e i temporali. Incorniciare
la natura e farne un quadro è un’operazione dinamica perché l’immagine cambia
con le stagioni e con il lavoro degli uomini. Gli autori sono
molteplici: la natura stessa che crea sempre nuove forme; i contadini che la
lavorano e l’artista che non solo vede e sceglie i colori e le forme ma
inserisce in questo quadro (diverso dal quadro tradizionale) la forza
dell’ironia sull’arte e sul mondo, l’essere inestinguibile di una richiesta e di
un desiderio che trasforma la natura in cultura e riconduce tutto ai rapporti
tra gli uomini, all’etica della responsabilità e della libertà.