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Allarme rosso sull’olio nero
Per il Wwf il futuro della nostra regione in materia di petrolio non è roseo

Allarme rosso sull’olio nero

Il dato di fatto è che la Regione a quasi un anno dal suo insediamento non ha varato nuove norme. Nell’ultima commissione bilancio è stato ritirato il progetto di legge (contestato dall’opposizione) che avrebbe dovuto regolare la distribuzione delle royalties derivanti dalle estrazioni dal sottosuolo.
A dicembre scadono i termini che bloccano il centro oli dell’Eni ad Ortona. Che si fa?
L’ennesimo allarme inerzia lo lancia il Wwf che prova a smuovere la Regione a darsi da fare ed infretta.
Il tutta nascerebbe dal fatto che non è stato ancora approvato lo strumento di pianificazione di settore, il Piano Energetico Ambientale Regionale che la precedente Giunta Del Turco predispose, ma non fece approvare, e sul cui destino l’attuale non ha ancora fatto chiarezza.
Nel concreto, però, mentre in Abruzzo non si decide, altrove si decide per l’Abruzzo.
«La deriva petrolifera», ricorda oggi il Wwf, «colpisce la nostra regione il cui territorio è al 50% interessato da concessioni per ricerche ed estrazioni di idrocarburi. L’attuale Governo regionale sembra non aver compreso che per l’Abruzzo si sta delineando un futuro nero e non sembra impegnato ad impedirlo. Le dichiarazioni di principio di contrarietà alla realizzazione di un Centro Oli ad Ortona non sono più sufficienti, perché il problema non è la localizzazione della mini raffineria in un altro posto, ma individuare una strategia per impedire che l’Abruzzo scivoli verso la deriva petrolifera».
C’è poi l’altra incognita che pure si affaccia a fare ombra sulla nostra regione: il nucleare.
Lo scorso 11 settembre WWF, Greenpeace e Legambiente hanno invitato tutte le regioni italiane a ricorrere davanti alla Corte Costituzionale per fermare la legge n. 99/2009 che centralizza le procedure per la scelta di siti dove costruire centrali nucleari, militarizzando di fatto le aree scelte dal Governo nazionale ed esautorando le Regioni e gli Enti locali da qualsiasi possibilità di intervenire nei processi decisionali.
Ebbene, mentre 12 regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Molise che rappresentano circa il 60% del territorio italiano) hanno deciso di impugnare la legge, ed altre come Veneto, Sicilia e Sardegna hanno già manifestato formalmente la loro contrarietà ad ospitare centrali, il nostro Governo regionale tace, rinunciando di fatto a rivendicare il proprio diritto a decidere se e dove far realizzare una centrale nucleare in Abruzzo.
«È questo il futuro che si vuole per l’Abruzzo? È così che si difendono gli interessi degli abruzzesi?», si domanda Dante Caserta, consigliere nazionale del Wwf.

Fonte: www.primadanoi.it

L'Abruzzo non vuole diventare un pozzo (petrolifero) senza fondo

Nel mirino anche le colline del Montepulciano Doc e Il parco nazionale della Majella

Un piano prevede di installare impianti di estrazione sul 50% del territorio: a rischio agricoltura e turismo. Spero che vogliate parlare di tutto l'Abruzzo come zona da salvare. L'Eni infatti si appresta a trasformare la nostra regione in un mega campo petrolifero, trasformando il 50% del territorio in zona per l'estrazione del petrolio, comprese le colline del Montepulciano Doc, Il parco nazionale della Majella, e quello di Lazio ed Abruzzo. Sono due anni che cerco di sensibilizzare abruzzesi - politici, popolo, giovani e chiesa cattolica su questo grave problema, con la stampa nazionale che sembra essere mummificata. La Basilicata, dove si trivella da 15 anni, muore, e io vorrei che per una volta in Italia fossimo preventivi e fermassimo il degrado ambientale prima di iniziare a contare i morti. In Basilicata si può.

Il petrolio abruzzese è di qualità scadente. E' un fango fortemente corrosivo e denso. L'indice API è 12. Il petrolio migliore del mondo è quello texano ad indice 40. Quello peggiore sono le sabbie del Canada con indice 8. Dunque, il petrolio abruzzese giusto un po meglio delle sabbie bituminiche dell'Alberta. L'idea dell'Eni è quella trasformare 15 ettari di terra a Montepulciano doc ad Ortona in una raffineria di petrolio creata apposta per desolforizzare le schifezze del sottosuolo abruzzese. Questo centro deve sorgere a 500 metri dal mare. Si parla di costruirne altri due nella piana di Navelli e nel Teramano. Le trivelle nel mare a Pineto ospiteranno la desolforazione sulle piattaforme stesse. L'Abruzzo quest' anno è arrivato quarto al Vinitaly di Verona per numero di medaglie sulla qualità dei vini.
Questa regione fino a 50 anni fa era povera. Ora, la possiamo rigirare come vogliamo, ma vino, agricoltura, turismo e petrolio non possono coesistere. Alcuni studi dell'università californiana Davis, con uno dei dipartimenti di agricoltura più famosi d'America, ha concluso (30 anni fa!) che le emissioni di idrogeno solforato alle stesse dosi di quelle consentite dalla legge italiana, causa la morte dei vigneti. Bucare in lungo e largo l'Abruzzo significherà quasi sicuramente compromettere tutta la nostra agricoltura.

Il rapporto guadagno petrolifero/perdita agricoltura è infinitamente basso. Ad Ortona, il petrolio porterà a 30 posti di lavoro (l'ha detto l'Eni stessa) a fronte di 5000 famiglie nei vari comuni attorno alla proposta raffineria impiegate nell'agricoltura che perderanno il loro sostentamento, per non parlare del turismo e della pesca del luogo. Il petrolio abruzzese non è una risorsa per l'Abruzzo, ma per l'Eni. Non esiste un comune "petrolizzato" in Italia dove si vive bene con il petrolio: esplosioni a Trecate, petrolfiere inabissate a Genova, bimbi deformi a Gela, tumori fuori ogni limite a Falconara, inquinamento alle stelle a Melilli, Priolo, Augusta, Cremona, Falconara, Mantova, Sannazzaro, Sarroch, Marghera, Manfredonia.
Anche per quanto riguarda le famose royalties, facciamo pena. In Norvegia fra tasse locali e governative, devi lasciare l'80% del ricavato ai Norvegesi. In Italia, le tasse governative sono del 30% e poi agli Abruzzesi resterà l'1% della ricchezza estratta. Però se estrai al di sotto di un certo limite, paghi zero spaccato. Chi controlla il greggio estratto è l'estrattore stesso! Ai petrolieri si vuole regalare il 50% del territorio, compreso parte dei parchi nazionali e la costa. Su quei territori vive l'80% della gente d'Abruzzo. Un sondaggio fatto dal governo centrale mostra che il 75% degli abruzzesi è contrario alle trivelle. La terra non è dell'Eni ma degli Abruzzesi. Grazie ad altre opere già portate avanti (fra cui la centrale turbogas di Gissi), l'Abruzzo già produce più energia di quanto gli serva. Il petrolio non può coesistere con l'Abruzzo che conosciamo oggi.

Maria Rita D'Orsogna
Assistant Professor Department of Mathematics
California State University at Northridge Los Angeles CA

VALUTAZIONE AMBIENTALE ED ECONOMICA (a cura del Wwf) - Un’oasi di bellezza tra il cemento che copre gran parte della costa abruzzese, con unicità botaniche, geologiche, faunistiche e storiche, è quella che si dispiega nel tratto litoraneo che va da Ortona a San Salvo. Un susseguirsi di falesie, calette, spiagge sabbiose e ghiaiose, interrotte dai famosi “trabocchi”, scheletri di legno magicamente sospesi tra la terra e il mare per pescatori poco avvezzi alle onde. A ridosso della costa le colline del Montepulciano da cui si ricava il pregiato vino, degno prodotto di un luogo anticamente chiamato “La terra d'oro“, per la ricchezza delle acque, la fertilità delle campagne e le bellezze paesaggistiche . Questo lembo di costa, miracolosamente salvatosi grazie al vecchio tracciato ferroviario- ora dismesso- sta scomparendo a ritmi vertiginosi sotto l'insipienza di gran parte dei nostri amministratori comunali, regionali e del Governo Nazionale, nonostante alcuni iniziali e importanti tentativi di salvaguardia. E' nel 2001 che inizia l'iter istitutivo del Parco della Costa Teatina mai portato a termine da nessun governo regionale che si è succeduto. Solo nel 2007 vengono istituite quattro piccole Riserve regionali nell’ambito di un Sistema di aree protette, che non riescono però a frenare la speculazione edilizia. Oggi la costa rischia anche la deriva idrocarburi: aumento costante delle perforazioni petrolifere in mare e in terra, previste dal Piano triennale energetico dell'attuale Ministero degli Affari Produttivi, l'incombente realizzazione di un Centro Oli (raffineria), momentaneamente sospesa grazie alla tenace opposizione di associazioni e comitati di cittadini, la prospettiva di un porto (Ortona) destinato all’industria petrolifera. Come non bastasse fiumi in condizioni disastrose, cementificazione che avanza inarrestabile, spiagge soffocate da stabilimenti e attrezzature balneari che fagocitano i residuali habitat dunali, tingono il futuro di questo specialissimo lembo di costa a tinte fosche.

Fonte: www.corriere.it

Inserito da Redazione il 02/10/2009 alle ore 19:49:57 - sez. Ambiente - visite: 3062