LEO FERRANTE PRESENTA IL SUO PRIMO LIBRO
Di seguito una recensione “insubordinata” a cura di
Simone D’Alessandro sul libro di Leo Ferrante
Guidare gli altri: arte, mestiere o vocazione?
Ferrante non svela l’arcano,
rivela ciò che siamo!
La sua è una confessione in forma di manuale.
Leggendo il libro di Leo Ferrante, Leader si diventa: 11 metodi
per guidare gli altri nel lavoro e nella vita, edito nel 2018, torna alla mente
la lezione di Kierkegaard sulle differenti possibilità dell’esistenza umana,
riconducibili a tre stadi: estetico, etico e religioso. L’estetico s’incarna
nella figura del seduttore, ma anche dell’artista fedele alle sensazioni
immediate, infedele a tutto il resto.
L’etico è riconducibile alla figura del
buon marito o dell’indefesso lavoratore che s’impone una disciplina necessaria
alla realizzazione del suo progetto. Vivere è per lui mestiere impegnativo e
doveroso.
Infine, con lo stadio religioso, l’essere umano è disposto a
oltrepassare le regole comuni, pur di inseguire la sua vocazione. Tre stadi
dell’esistenza che potrebbero negarsi vicendevolmente o fondersi in un percorso
evolutivo ascendente. Accade lo stesso nel processo di leadership, parola che
deriva dall’inglese antico “lita” che significa “andare”, ci ricorda Ferrante.
Si può essere leader seducendo, naturalmente inclini a sconvolgere l’altro, per
portarlo dove si vuole.
Si può diventare leader per mestiere e con
disciplina, abituandosi al miglioramento quotidiano.
Si può, infine, essere
leader abbandonandosi alla propria vocazione, integrando libertà e necessità.
Questi modi di condurre, potrebbero contrapporsi o felicemente coniugarsi, ma in
che modo?
Ferrante non pretende di risolvere l’arcano!
Più concretamente, l’autore mette a nudo le sue riflessioni di
professionista che per oltre un decennio ha guidato uomini e donne. Ufficiale
dei bersaglieri, l’autore negli ultimi 22 anni ha preso decisioni in situazioni
di crisi, sperimentando di persona l’arte del comando.
Le opinioni espresse
all’interno del testo riportano unicamente il suo punto di vista e non sono
riconducibili alle Forze Armate italiane, questo è un messaggio che l’autore
ribadisce nel testo, a scanso di equivoci.
Il libro è una confessione celata
sotto le mentite spoglie di un manuale; sentiero che si rivela originale ed
efficace, soprattutto nella forma! In uno stile chiaro, asciutto, schematico e
in prima persona (quest’ultimo elemento rappresenta un caso raro nella
saggistica dedicata al tema, se si esclude Leadership e autoinganno del 2002,
curato dai ricercatori dell’Arbinger Institute), l’autore offre una guida ideale
per ogni tipologia di lettore. Nell’introduzione al manuale si trova la
spiegazione del concetto di leadership accanto ad una metafora dell’albero della
leadership, impiegata per descrivere l’approccio dell’autore al tema.
Negli undici capitoli successivi si
trovano altrettanti metodi per accrescere la capacità di leadership. Ciascun
capitolo è organizzato al suo interno con una premessa alla specifica questione,
l’illustrazione del metodo vero e proprio, l’enunciazione di un esempio storico
coerente con il metodo e una sintesi finale, utile per chi voglia non soltanto
memorizzare, ma metabolizzare il percorso, seguendolo come fosse un breviario
per aspiranti condottieri.
Possiamo notare anche la ricchezza di citazioni
tratte da studiosi di ogni epoca, dall’irrinunciabile Sun Tzu a von Clausewitz,
passando per Yamamoto Tsunetomo. Da Alessandro Magno a Martin Luther King,
passando per Napoleone. L’autore ci ricorda (quasi nietzschianamente) che “la
verità è che la verità cambia”.
Se lo stile dei grandi condottieri antichi si
basava sul terrore, oggi la leadership è più spesso partecipativa,
sempre situazionale. Ferrante prende in esame le sole qualità allenabili, perché
quelle innate sono lì, inamovibili, mostrandosi convinto della possibilità di
una didattica della leadership. Per questo enuclea 11 metodi utilizzabili da
ciascuno secondo le proprie inclinazioni.
Ed ecco arrivati al nodo
problematico dove il sottoscritto, in qualità di umile ma insubordinato
recensore, si permette di ravvisare alcune aporie. E se dietro gli 11 metodi -
che forse sarebbe meglio definire suggerimenti, punti di riferimento di un
canovaccio - si nascondessero 11 perfette vocazioni?
Facciamo alcuni esempi:
il primo metodo insiste sul tema della curiosità, il secondo sulla capacità di
ampliare la rete dei contatti. In questo caso un giovane eclettico e curioso,
dotato di intelligenza relazionale, potrà migliorare le sue doti leggendo questo
libro, oppure semplicemente riconoscerle?
Pur ammettendo che si riconosca in
tali attitudini (che, quindi, possiede già anche se in modo acerbo) come
possiamo stabilire che sia in grado di migliorare modellizzando i consigli
dell’autore?
Dovrebbe essere dotato di altre virtù: disciplina, capacità di
semplificare per concentrarsi sull’essenziale, per gestire il tempo (che sono
altri tre metodi descritti nel libro), ma potrebbe scoprire di non avere
vocazione per questo. Gli 11 metodi, sono in realtà attitudini. Le attitudini
non possono venir fuori dal nulla.
Inoltre, molti di questi sono fra loro
accorpabili, mentre altri sono difficili da coniugare.
“Semplifica”, “pensa e
agisci strategicamente”, “non lasciare che il tempo ti gestisca” appartengono
all’essere etico, ma si scontrano con la vocazione estetica che si immedesima
con altri metodi presenti nel libro come: “le emozioni sono importanti”, “motiva
chi ti sta intorno”, “pensa fuori dagli schemi”.
Quest’ultima capacità, tra
l’altro, dovrebbe portare il vero leader a mettere in dubbio tutti i metodi,
quando è necessario, al fine di uscire dal pensiero-procedura e prepararsi al
salto di paradigma.
Se è vero che la leadership consiste nel
saper creare un mondo al quale le persone desiderino appartenere, come asseriva
Gilles Pajou, è vero anche che le persone cambiano e che i leader deludono
sempre nel tempo, perché anche il più amato capitano coraggioso, a un certo
punto, inserisce il pilota automatico, entrando nell’habitus ripetitivo di se
stesso. «Negli ultimi cinquant’anni, gli studiosi di leadership hanno condotto
più di mille studi per cercare di determinare una volta e per tutte gli stili,
le qualità e i tratti caratteriali dei grandi leader. Nessuno di questi studi ha
prodotto un chiaro profilo del leader ideale. Meno male. Se gli studiosi
avessero individuato uno stile di leadership modello, tutti avrebbero cercato
continuamente di imitarlo »: questo è quanto sostenuto dagli studiosi George,
Sims, Meclean e Mayer, in un noto saggio pubblicato nel 2007 sulla Harward
Business Review, basato sull’analisi di migliaia di studi sulla leadership.
Spesso ci dimentichiamo che i modelli sono strumenti utili per affrontare la
realtà, ma non sono la realtà.
La mappa non è il territorio. Inoltre,
ci si dimentica che le guide non scelgono, ma vengono scelte dai loro seguaci e
dai loro tempi. La leadership può essere eroica, carismatica o legittimata, ma
non viene creata dal singolo che decide di diventare leader. Essa viene
socialmente costruita da molteplici fattori: ruolo, gerarchia, evento, qualità
dei seguaci, scarsità o abbondanza di risorse.
Esistono leader scelti dagli
eventi (Einstein non volle mai esserlo eppure fu scelto come icona); leader
costruttori di eventi (Roosevelt o Gorbačëv, ad esempio); leader che influenzano
un’epoca senza che l’opinione pubblica ne prenda atto (Wilson è stato tra i
presidenti americani il più ignorato, ma le sue idee furono rivoluzionarie come
quella di creare la Società delle Nazioni, tra l’altro fu anche insignito del
premio Nobel per la Pace; la Croce Rossa Internazionale venne istituita da un
commesso di banca ginevrino, Jean Henry Dunant, sconosciuto ai più); leader che
incentivano la critica (Adriano Olivetti); leader che hanno bisogno dei
cortigiani (Zdanov); leader che vincono perché collaborano; leader che vincono
perché risolvono problemi senza chiedere aiuto; leader che manipolano; leader
che caricano le folle; leader di transizione; leader la cui forza dipende da una
debolezza. Nel tentativo di trovare le giuste etichette, si sottovaluta il
contesto. Quando Sun Tzu parlava delle doti del leader perfetto, affermando
dogmaticamente che dovesse possedere “intelligenza, sincerità, audacia e
severità”, non avrebbe mai potuto immaginare che in epoche successive si
sarebbero affermati leader “incolti, permissivi, codardi e menzogneri”.
La realtà disattiva inaspettatamente qualsiasi
manuale, forse per questo Socrate aveva deciso di non scrivere, per non
ipostatizzare il pensiero del cambiamento.
Ma questo lo sa bene anche
Ferrante quando nel libro scrive che “la leadership, come il nuoto, non si
apprende sui libri”. Tuttavia, bisogna fissare dei paletti nella conoscenza dei
principi; e questo libro lo fa in modo impeccabile, lasciando al lettore un
promemoria, stimolando il desiderio di allenarsi per diventare ciò che si è
(direbbe Pindaro), ma ci si è dimenticati di dover essere.