Rotunno racconta come la Delverd
«Ho assistito impassibile alla distruzione di
un gioiello»
«Io, Masciarelli e i mandanti occulti per distruggere la
Delverde»
di Alessandro Biancardi e Alessandra Lotti per
PrimaDaNoi.it
Fara San Martino - «Tanto di cappello a chi ha
organizzato tutto questo. Non hanno sbagliato un colpo. Sono riusciti a
distruggere un'industria fiorente con il chiaro obiettivo di farla sparire da
Fara San Martino, o tali erano gli intenti».
La voce è ferma, lo sguardo pieno di rammarico e rabbia, Pietro Falco Rotunno,
ex amministratore delegato del pastificio, nella sua anima da oltre 30 anni ha
la Delverde, e l'anima della Delverde di allora era Rotunno. E' lui infatti che
nel 1967 venne chiamato dalle Industrie Alimentari Levino Tavani &Co. e
ricevette l'incarico di progettare e dirigere i lavori di costruzione dello
stabilimento di quello che diventerà uno dei marchi più importanti del mondo.
A PrimaDaNoi.it , Rotunno
racconta come il pastificio sia stato portato gradualmente al fallimento (poi
dichiarato fallito il 17 febbraio 2005) senza una apparente e vera ragione.
Dalla fine del 2005 una nuova gestione, dell'imprenditore teatino Zappacosta,
sta cercando di risollevare le sorti del marchio.
Pietro Falco Rotunno, dal '91 al 2002, portò l'azienda al successo fino ad un
fatturato di oltre 50 milioni di euro, acquisì posizioni di mercato dominanti in
Canada e negli Stati Uniti e con lui Delverde diventò sinonimo di qualità ma
anche di Abruzzo.
Seppur «nauseato da questo losco affare», ha molta voglia di raccontare
la sua verità, come sono andate le cose e spiegare le ragioni recondite dello
sciacallaggio industriale che ha portato al fallimento il pastificio. Ma non
lesina forti critiche nei confronti di chi non lo ha voluto ascoltare (giornali
compresi).
Rotunno, è professionista stimato, in più di una occasione dice di aver
rifiutato posti in aziende alimentari per non fare concorrenza alla sua
«creatura».
Ancora oggi il suo rifugio e luogo di lavoro è una palazzina gialla dove ha sede
la BioAlimenta Srl, che si trova esattamente di fronte al pastificio Delverde e
al concorrente De Cecco. «La pasta è la mia vita», afferma.
Qui sta dedicando le sue attenzioni a produzioni di prodotti non contenenti
glutine di frumento e, dunque, non in concorrenza con la Delverde. Dalla sua
finestra, anche se prova ad ignorarlo, («per me ormai la Delverde, quella che
ho vissuto fino al 30 maggio 2003, è solo un bel ricordo», ripete più volte)
conta mentalmente i numeri di camion in transito, pieni di semola, che riconosce
dal rumore.
I tanti attori del fallimento
«Dal 3 giugno 2003, le cose che avvenivano sotto i miei occhi non avevano
senso e logica, non avevano una spiegazione. Tutta questa incredibile e
delittuosa storia è paragonabile ad un immenso puzzle dove, seppur le immagini
prendevano forma sempre più di giorno in giorno, non è stato possibile
comprendere finché non è stato messo l'ultimo tassello».
La vicenda a cui fa riferimento è ovviamente il fallimento della Delverde che
secondo Rotunno è stato possibile grazie all'ingegner Masciarelli ed ad un
nutrito numero di «attori che consapevolmente o senza rendersene conto hanno
fatto la loro parte». Tra gli attori, ovviamente, i componenti della Fira, ma
anche la politica e la magistratura che ne ha decretato il fallimento ufficiale
(«senza volersi accorgere che le carte erano state manipolate»).
«Ho assistito impassibile alla distruzione di un gioiello», spiega
Rotunno, «non c'è un punto di partenza in questa storia imbarazzante e
stomachevole per come è stata vissuta, per l' indifferenza di chi non si è
interrogato e non è riuscito a capirne le contraddizioni infinite».
Masciarelli: «è stato bravissimo a raggirarmi»
Dietro al fallimento della sua industria c'è l'ingegner Masciarelli, di questo
Rotunno è certo.
Così come è certo che l'ex presidente della Fira, ora in carcere, non potesse
agire da solo, ma guidato da una mente superiore, probabilmente politica, a sua
volta guidata da logiche economiche.
E oggi come si sente Rotunno dopo l'arresto del manager Fira?
«Non mi interessa», spiega, «l'arresto è stata probabilmente una
conseguenza inevitabile di quello che ha fatto ma purtroppo non porta niente
alla Delverde che è stata fatta fallire».
Il primo incontro tra Rotunno e Masciarelli avviene il 30 maggio del 2003, «quando
è stato attivato quello che in apparenza aveva tutte le sembianze di un "golpe"
da parte del gruppo Tamma».
La situazione finanziaria del pastificio era problematica ma sostenibile («la
svalutazione del dollaro USA e gli investimenti pesavano sul bilancio ma il
marchio era forte, le commesse c'erano e, soprattutto, avevo predisposto e
definito ogni dettaglio per far fronte alla svalutazione del dollaro e tutto
quanto necessario per conseguire, come da budget 2003, un fatturato di €
53.306.879,00 con utili conseguenti»).
Ma la maggioranza del Consiglio di amministrazione, rappresentata a quel tempo
dal defunto Ernesto Talone, dal presidente Francesco Tamma e dal figlio
Raffaele, «fece credere il contrario» e, «al di là delle tante
sceneggiate sulla opportunità di vendere l'azienda agli infiniti acquirenti di
cui gli stessi allora ne dichiaravano l'esistenza, optò, con apposita delibera,
per un allettante mutuo» che la Fira poteva concedere fino alla concorrenza
di 52 milioni di euro.
«Appena dopo questa delibera, il presidente del collegio sindacale della
Delverde Giustino Battistella iniziò a tampinarmi continuando a ripetermi che
dovevo incontrare Masciarelli. Battistella era anche consigliere di
amministrazione della Fira. Io la Finanziaria Regionale non la conoscevo, e lui
continuava a ripetermi che se non avessi incontrato Masciarelli la Fira non
avrebbe concesso il mutuo. Diceva "ti costa tanto? Dai, andiamo.." »
Rotunno decise di assecondare la richiesta ma oggi conferma: «non ho mai
creduto in questo mutuo. Era indispensabile la mia presenza», continua
Rotunno, «perchè c'era bisogno di una compagine sociale di riferimento che
dichiarasse la propria disponibilità all'intervento e io e Tamma rappresentavamo
la maggioranza qualificata. Così diedi la mia disponibilità a Masciarelli per
poter procedere».
«Mi ha ingannato», ripete Rotunno con sguardo severo ricordando quegli
attimi. E ripensa anche al primo incontro con l'ingegner Masciarelli.
«Insieme al Battistella andai all'appuntamento in Fira e fummo ricevuti dalla
sua segretaria Caterina D'Antuono, (oggi investita dall'inchiesta Fira, ndr)
sempre gentile e affabile con me, che ci accompagnò ad un ristorante sul
lungofiume di Pescara dove Masciarelli ci avrebbe raggiunto, perché molto
impegnato... un ottimo pranzo di pesce, lo ricordo ancora. Ebbi l'impressione
che sapeva tutto dell'azienda, e diceva "le devo spiegare molte cose". Era un
vulcano, logorroico, non si fermava mai. Una persona che sa come carpire la
fiducia del prossimo....mi ha ingannato».
«Era un temerario», continua ancora, «oggi sono convinto che non
avesse alcun interesse ad avere la Delverde, ma probabilmente aveva promesso il
marchio ad una società estera… magari la Molinos Argentina che nel 1997 mi
contattò per chiedermelo e io risposi che il marchio Delverde non era e non
sarebbe mai stato in vendita. Fin dal primo incontro io spiegai a Masciarelli
che non ci credevo in questo mutuo», continua Rotunno, «venivo fuori da
una situazione giornaliera senza senso e incredibile, nessuno mi diceva in base
a quale legge avremmo ottenuto questi soldi e quando lo chiesi a Masciarelli lui
farfugliò qualcosa e poi disse che non aveva le carte davanti per spiegarmi
tutto».
«Quel giorno a Roma: il viaggio più lungo della mia vita»
Le cose, come continuava a ripetere Masciarelli, stavano per concretizzarsi. Il
fatidico mutuo era sempre più vicino, ma dal momento che Rotunno manifestava il
suo scetticismo, «mi promise che avrei potuto accertarmene con un incontro
con il Ministro delle attività produttive Antonio Marzano che lui avrebbe preso».
E fu proprio nell'occasione del viaggio al Ministero che Rotunno incontrò per la
prima volta Picciotti, imprenditore di Altino, attualmente in carcere perchè
coinvolto nell'inchiesta "Bomba" sulla Fira e anche indagato per il fallimento
Delverde nell'inchiesta vastese.
«Feci con Picciotti un viaggio interminabile, impiegammo più di 4 ore... Mi
urtò dover fare il viaggio con una persona che non conoscevo» ma fu solo
all'ultimo momento che Rotunno scoprì che avrebbe incontrato Masciarelli
direttamente a Roma, al ministero.
«L'ingegnere mi chiamò la sera prima, mi disse che lui sarebbe andato a Roma
con Vito Domenici perchè dovevano parlare di altri affari che riguardavano la
Sanità e Tamma avrebbe raggiunto Roma da Foggia con il treno».
Arrivati al ministero, però non incontrarono il ministro: «aspettammo
quindici minuti, poi ci dissero che il ministro aveva avuto un imprevisto.
Parlammo con un sottosegretario che ci diede ogni assicurazione per la
concessione del mutuo tramite la Fira, ci disse che era tutto a posto e che
dovevamo sbrigarci a redigere il piano industriale che, se non fosse stato
consegnato entro i primi giorni di febbraio non avremmo più trovato la
disponibilità dei fondi».
Masciarelli insieme ad un altro relatore (l'ingegner D'Onofrio) stilò il piano
per 15 milioni: «si arrivò a 20 il giorno in cui ce lo presentarono», precisa
Rotunno, «inserendo il progetto di imbottigliamento delle acque minerali.
L'ultima volta che li sentii mi rassicurarono che il piano stava per essere
portato al ministero. Poi più niente».
Masciarelli scomparve nel nulla, Rotunno provò a contattarlo ma l'ingegnere era
sempre impegnato. Ovviamente del mutuo nessuno sentì più parlare, «né i
mass-media, che tanto hanno scritto anche su questo mutuo, hanno mai posto
l'interrogativo nel merito».
Solo a posteriori Rotunno capì che «tra Masciarelli e Tamma (imprenditore
pugliese e presidente del consiglio di amministrazione della Delverde) c'era un
tacito accordo, così come l'ingegnere fece intendere».
Ma forse anche questo era solo uno degli inganni che permise di poter carpire la
fiducia dell'imprenditore pugliese, fino ad un certo punto. Fu infatti proprio
Tamma con una denuncia a dar vita alla inchiesta vastese sul fallimento della
Delverde che ha scaturito il filone pescarese con gli arresti eccellenti.
La politica e le mani in pasta
Nel 2004, per salvare l'azienda Rotunno pensò che fosse importante avvisare
anche il mondo politico. Aveva contattato sin dal luglio 2003 il segretario
provinciale della Cgil Catena e, subito dopo, il sindaco di Fara San Martino
Antonio Tavani (An) e, dopo l'avvento del nuovo socio Abruzzo Alimenti, il
senatore Tommaso Coletti (Margherita), poi diventato presidente della Provincia
di Chieti.
«In quei giorni», ricorda Rotunno, «Coletti era molto impegnato in
vista della tornata elettorale. Mi sembrava ben disposto, diceva "voglio capire
bene la storia di Delverde, fammi una relazione sulla situazione ivi compreso la
composizione del capitale sociale anche perché voglio ben comprendere la
posizione degli Alimonti", cose a cui provvidi nel giro di qualche giorno,
seppur con imbarazzo dato che allora apparivano fatti e situazioni poco
credibili».
Il materiale viene consegnato puntualmente e dopo qualche settimana, «appena
dopo il suo insediamento in Provincia, accompagnato da un consigliere regionale
di Pizzoferrato, del quale non ricordo il nome, nulla più ho saputo se non, con
mia grande meraviglia, che anche per il senatore Coletti, l'unico modo per
salvare la Delverde era accompagnarla all'Amministrazione Controllata».
Lo dimostrò anche qualche mese dopo quando promosse un incontro con imprenditori
per fare il punto della situazione Delverde. «Si doveva valutare»,
precisa Rotunno, «su richiesta dei sindacati, come mai l'allora presidente ed
amministratore delegato della Delverde, Giorgio De Gennaro, ritenesse opportuno
chiedere l'amministrazione Controllata al Tribunale di Chieti», anziché
accettare la ricapitalizzazione dell'Azienda che i soci di minoranza avevano
offerto e le banche avevano accettata.
«Quell'incontro è documentato, Coletti lo iniziò con il buongiorno a tutti
per poi dire subito "in ogni caso ho parlato con De Gennaro (ex ottico
napoletano che ad un certo punto aveva preso la gestione del pastificio e "che
si distinse per compensi e consulenze esose critiche per l'azienda") e condivido
la scelta dell'amministrazione controllata decisa da De Gennaro per salvare
l'azienda. Vi lascio, pertanto, alle attenzioni dell'On.le Di Fonzo e vi auguro
buon lavoro».
«Coletti, a mio avviso, deve spiegare, il senso di quella riunione, il suo
comportamento, il perché di questa sua improvvisa condivisione e di averla
"caldeggiata" anche presso il Presidente del Tribunale di Chieti ben sapendo,
come quanti ragionavano in quei momenti e come venne riaffermato con forza in
quell'incontro da parte del socio di minoranza TMT, che la decisione
dell'Amministrazione Controllata avrebbe rappresentato solo l'anticamera del
fallimento dell'Azienda».
Ricollegando i pregressi e tutti i singoli episodi Rotunno si chiede ancora
perchè la Delverde dovesse fallire per forza.
«La spiegazione più plausibile era quella di svuotarla per giustificarne la
svendita a quell'imprenditore che l'avesse acquistata magari all'asta. Intanto
sarebbe sparita da questo paese e dall'Abruzzo»
«Quell'azienda dava fastidio»
«Quell'azienda dava fastidio», lo ripete spesso, come un ritornello,
raccontando di storie anche vecchie di decenni, di rivalità, invidie, malelingue
e beghe di paese.
E' questa la ragione ultima che Rotunno si dà per spiegare tutto quello che è
successo fino a qui, altrimenti inspiegabile, semplicemente danneggiare una
industria forte. A vantaggio di chi?
C'è una inchiesta in corso su questo fallimento così strano. Tutti dovranno
rispondere delle proprie responsabilità, così come Rotunno ex amministratore
delegato e poi socio che dice «io ho dimostrato con documenti alla mano tutto
quanto ho sostenuto, nessuno ne ha tenuto conto tranne, mi par di capire, la
Procura di Vasto».
«Di un cosa sono certo: l'industria era fiorente, c'erano difficoltà naturali
come il collasso dell'economia argentina, la svalutazione del dollaro. Il nostro
fatturato era arrivato a 52 milioni di euro e il 65% derivava dai mercati
esteri. La Delverde era leader del mercato canadese con una quota di mercato che
valeva oltre 6 miliardi di lire. E' vero che l'azienda aveva una forte
esposizione economica, ma ce la poteva fare benissimo. Era una esposizione
dovuta ad investimenti strutturali, aggiornamenti tecnologici degl'impianti ed
al marketing, indispensabili per la sopravvivenza e sicurezza futura del
marchio. E invece è stata fatta apparire come una azienda che stava morendo, dai
bilanci disastrosi. Sono state fatte relazioni false: molti non si sono accorti
di nulla e/o tale atteggiamento hanno assunto, altri non hanno parlato, chi
poteva intervenire per scongiurare questa assurdità non ha invece mosso un dito».
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