|
I beni e le rendite della chiesa di S. Reparata nel Settecento
di Giancarlo Talone Il 24 Maggio dell'anno 1568 monsignore Giovanni Oliva, arcivescovo teatino, approdava con il suo seguito a Casoli in visita pastorale: «…si viene alla chiesa di Santa Maria, parrocchiale e arcipretale di detta terra, fatto l'ingresso processionale e data la benedizione, si conferisce il Sacramento della Cresima quasi per due ore; poi si visita il Santissimo Sacramento dell'Eucaristia, il fonte battesimale e il sacrario. Frattanto nella mattinata il reverendo vicario visita i seguenti luoghi di devozione: - la chiesa di San Pietro Celestino a Maiella o in Albano, dentro le mura, dove si celebra messa molte volte, ne è rettore don Ercole Ferrarino e risulta don Gaspare procuratore di costui; - la chiesa di San Giacomo al piano, in cui si onora solo la sua festa, rimane sempre aperta, si comanda che la si tenga chiusa giorno e notte altrimenti non vi si dica messa, ne è rettore don Claudio Caracciolo; - la chiesa di San Nicola al piano, nella quale mai si celebra perché è quasi senza tetto, si ordina che la si ripari, ne è rettore lo stesso don Caracciolo; - la chiesa di Sant'Onofrio presso il fiume Aventino manca di porte, si comanda che vi si celebri solo dopo averle rifatte, ne è rettore il predetto don Claudio; - la chiesa di San Giacomo al fiume Arido (rio Secco) è di grande devozione, sfornita di porte e del tetto si ordina di ripararla con le sue rendite; - la chiesa di San Rocco compare chiusa e coperta, vi si celebra messa ogni settimana, ma senza rendite è in custodia dell'università; - la chiesa di Santa Liberata fuori le mura è molto ben custodita, appare di grande devozione, si impone ai suoi procuratori il controllo dei conti, è annessa all'arcipretura dunque ne risulta rettore il parroco don Nunziato De Melchioribus; - la chiesa di San Giustino fuori le mura sembra diroccata perché il signor barone l'ha abbattuta cavando le sue pietre per fabbricare un trappeto, ne è rettore don Brundo De Brundis che deve riparare l'edificio sacro; - la chiesa di Sant'Angelo e San Nicola fa parte della terra, nel feudo di Laroma emergono solo le vestigia, ne è rettore don Giulio Cesare De Luzis di Pretoro; - le chiese rurali di San Silvestro e di Santa Lucia sono senza tetti, si comanda al rettore don Pietro della Fara San Martino di mostrare le bolle delle loro prebende; - la chiesa rurale di Santa Caterina e Santa Maria dell'Avella sembra solo rovina, ne è rettore il reverendissimo Capitolo di San Pietro in Roma; - la chiesa di Santa Maria pare soltanto un rudere nella selva di Laroma, ne è rettore don Brundo De Brundis; - la chiesa di Sant'Antonio cura anche l'ospizio, siccome percepisce rendite si impone ai suoi procuratori il controllo dei conti.» Il manoscritto della Santa Visita, custodito presso l'archivio della Curia Arcivescovile di Chieti, asserisce in maniera inequivocabile che la Vergine Martire Liberata fu un tempo molto onorata in terra casolana [1]. Altresì l'iscrizione dell'antica lapide, murata all'interno del santuario suburbano, rivela che il giorno della festa di Tutti i Santi dell'anno 1447 la gente di Casoli, affrancata da una grave epidemia, avviò per voto l'edificazione del tempio, pertanto dedicato a Santa Liberata. Nel 1506 la devota popolazione chiedeva al pittore marchigiano Antonio di Francesco Di Tommaso da Fossombrone il trittico con l'effigie della Vergine Martire tra due angeli. Durante la visita pastorale del 1578, il reverendo vicario dell'arcivescovo Cesare Busdrago notava che la chiesa di Santa Liberata doveva essere accomodata e già nella Santa Visita del 1593 gli ornamenti destarono l'ammirazione dell'arcivescovo Matteo Sanminiati, poi nel 1617 altre decorazioni furono lodate dell'arcivescovo visitatore Paolo Tolosa [2]. Dunque nel XVI secolo la chiesa conservava la sua originale intitolazione, ma all'inizio del Seicento vari atti notarili [3] cominciarono a citarla anche con l'appellativo di Santa Reparata; ecco perché tra il 1603 e il 1606 i Casolani affidarono all'artista veneto Vittorio Buzacarino, dimorante in Lanciano, la realizzazione del soffitto ligneo a cassettoni decorati con episodi sacri, fecero affrescare le pareti del luogo pio con scene del supplizio della Santa e posero sull'altare maggiore la sua statua di legno dorato, finemente somigliante alla Madonna della Cintura (forse anticamente Vergine del Rosario) esposta nella chiesa di San Rocco. Così dalla seconda metà del '600 il luogo sacro restò sotto l'invocazione della Vergine Martire Reparata giacché la parlata dell'epoca aveva mutato la primitiva dedicazione [4] che foneticamente evocava il nome della Santa morta per la Fede, in Cesarea di Palestina, durante la persecuzione dei Cristiani decretata, nel 250 d.C., dall'imperatore romano Decio. Una simile combinazione subiva il convento di San Giustino, detto poi di Sant'Agostino. Tale alterazione emerge esplicita anche nelle numerazioni dei fuochi eseguite a Casoli tra il 1522 e il 1665 nonché negli atti custoditi presso l'archivio parrocchiale del paese: nel 1650 Berardino Caniglia da Gessopalena sposava la casolana Liberata De Petra, il rilevamento del 1658 evidenziava che i due coniugi erano nati rispettivamente nel 1622 e nel 1630, furono ancora censiti nel 1665, ma nell'anno 1700 Liberata De Petra moriva all'età di 70 anni con il nome di Reparata; nel 1717 Antonio Di Berardino da Altino sposò Liberata Gasbarro, nel 1720 nacque il loro figlio Urbano, però nell'atto di battesimo del bimbo si attribuì alla madre casolana l'appellativo di Reparata [5]. La chiesa a tre navate fu edificata fuori le mura del paese nel luogo franoso detto dal popolo "contrada delle lame", era poi un ricovero di eremiti sino al 1830. Inoltre il sacerdote casolano don Mosè D'Amico, parroco di Furci, a metà Ottocento aveva bonariamente scritto: «…l'aver scelto quel luogo a preferenza di tanti altri, rende probabile la tradizione che dice essersi appunto in quel sito mostrata più volte su un olmo la immagine di Santa Reparata che portata nella chiesa parrocchiale, con istupore di tutti fu veduta sempre ricomparire su quell'olmo» [6]. In effetti il santuario fu eretto sul tragitto della "Montaniera" che dal tratturo delle "terrenove" (dissodate) alle Vicenne e dalla Selva Piana, per la via della Capretta, proseguiva lungo la valle del Quarto da Capo dopo le "tornare" (svolte) della Taverna e portava sui pascoli della Maiella al Guado di Coccia, poi verso Napoli prima del tracciato ottocentesco della strada Frentana. Tale percorso fu evidenziato in un disegno di Casoli nel XVIII secolo, custodito a Chieti nell'archivio di Stato. In realtà il suolo instabile del posto era situato presso una pregevole arteria di traffici verso le fiere di Lanciano, usata pure come tratturo durante le stagioni della pastorizia transumante, perciò in seguito gli amministratori civici di Casoli vi fecero edificare una fontana monumentale chiamata dai cittadini "la fonte a valle". I mercanti, i pastori, i viandanti, insomma coloro che transitavano per quella importante strada, sostavano nel luogo sacro per ottenere protezione durante il cammino, non dimenticavano le offerte in natura e quelle pecuniarie. Il santuario acquisì una significativa fama, richiamò quindi molti pellegrini che imploravano aiuti e indulgenze, nessuno trascurava le donazioni alle quali si aggiungevano anche i lasciti testamentari dei devoti abitanti del borgo [7]. Con il tempo la chiesa di Santa Reparata ammassò un cospicuo patrimonio che produceva sostanziose rendite, fu artisticamente abbellita e dotata di arredi, però l'instabile costruzione richiedeva costose opere di manutenzione e continui lavori di drenaggio delle acque per contenere il dissesto idrogeologico del posto [8]. Dai verbali manoscritti del Libro dei parlamenti dell'università di Casoli (1778-1799) si appura che i beni e i censi del luogo di culto venivano gestiti con sistemi imprenditoriali dai suoi "procuratori", eletti dai compaesani capi delle famiglie patriarcali riuniti in pubblica assemblea (nella seconda metà del '700 la terra contava circa 470 fuochi, cioè quasi 3000 abitanti, popolazione numerosa se riferita all'epoca). Codesti intendenti laici erano scelti ogni anno per evitare gli abusi di un'amministrazione disinvolta, la carica era molto ambita da personaggi che preferivano non si riflettesse troppo sulla sorte di centinaia di ducati, perciò a ogni votazione gli immancabili interessi faziosi coinvolgevano parenti, amici e compari dei candidati, speranzosi di qualche profitto. Chiaramente la chiesa sorse sotto l'egida del potere spirituale (concesse due anni d'indulto a chi vi si recava devotamente) e designava l'arciprete del paese suo "rettore" ecclesiale, ma il santuario fu fondato soprattutto per volontà dei fedeli, da loro dotato allo scopo di adempiere alla liturgia, alle opere pie o benefiche, dunque era in passato una cappella laicale in quanto priva di erezione canonica, senza attestati onorifici, prerogative e vantaggi. I suoi averi costituivano così un patrimonio autonomo, erano distinti da quelli ecclesiastici e avevano un'apposita destinazione, i procuratori laici si servivano del clero secolare locale per gli atti di culto che richiedevano l'opera di persona rivestita dell'ordine sacerdotale, quelli più frequenti erano le celebrazioni di messe. Nel Settecento il santuario raggiunse il massimo splendore, difatti vi fu sistemata un'alta balaustra di legno intagliato e il 17 Giugno dell'anno 1744 vi fu collocato un pulpito, opera di un frate di Lanciano [9]. Nel catasto onciario della collettività di Casoli manoscritto nel 1750, furono catalogati (dal foglio 316 a quello 327) i beni e i censi della cappella di Santa Reparata dopo le "rivele" del 1748 e posti tra quelli dei luoghi pii laicali situati nel territorio comunale. Essi consistevano in fabbricati, fondi rustici, bestiame e molteplici rendite. Gli stabili erano case, stalle e fondaci situati nei vari rioni del borgo: alcuni ceduti "a godere", ossia ipotecati dai fedeli in cambio di mutui non sempre riscattati, altri acquisiti per uso proprio o dati in affitto, diversi concessi in enfiteusi. Le proprietà fondiarie ubicate nell'agro casolano erano vigne, poderi, orti, suoli arativi e seminativi che producevano rendimenti in natura, soprattutto vino e farro (frumento); molte terre erano alberate con olivi, piante da frutta e gelsi per allevare il baco da seta. Se non erano lavorate dai braccianti salariati, esse venivano assegnate con patti colonici diversificati: "a soprafatto" il coltivatore acquisiva il diritto d'uso della superficie ma non la proprietà; "a mezza covertura" in cambio di metà tomolo di grano all'anno per l'assegnazione di un tomolo di terra; "a enfiteusi" al contadino si dava l'uso illimitato del suolo con diritto di trasmetterlo ai suoi discendenti; "a censo" una parte dei prodotti del terreno lavorato erano percepiti dopo il pagamento di un canone; "a colonìa" l'agricoltore divideva i frutti dei campi con l'ente pio secondo quote disposte dalle consuetudini. Tutti i fittavoli che avevano territori, in vari modi attribuiti, dovevano "la corrisposta", cioè una contropartita annua in denaro o in derrate. Alcuni fondi agricoli ceduti "a godere" costituivano anch'essi le garanzie ipotecarie dei devoti che avevano ottenuto dei prestiti (talora non restituiti) con la clausola di provvedere al "terraggio" (imposta fondiaria). Certi suoli erano burgensatici (senza vincoli feudali), su altri gravavano i diritti del principe d'Aquino feudatario di Casoli oppure del conte Baglioni di Civitella. Il patrimonio zootecnico consisteva in somari, vacche, buoi, maiali, pecore e capre: le bestie da soma e da lavoro venivano dati "a plattia", ossia per uso dei poderi concessi ai coloni, ma costoro avevano il permesso di servirsene per proprio conto pagando una tangente; bovini, ovini e suini erano consegnati anche "a soccida", vale a dire affidati a mercanzia in tempo di fiere, il profitto scaturiva dalla vendita degli animali al prezzo più vantaggioso. Altre rendite della chiesa di Santa Reparata erano gli interessi dei debiti che i cittadini di Casoli contraevano con la cappella laicale, essi maturavano ogni anno e con ipoteche sugli averi dei debitori. Il catasto onciario rivela la natura patrimoniale dell'opera pia, l'ammontare dei suoi redditi e l'estimo in once delle imposte da pagare [10]; esso era tenuto aggiornato in relazione ai mutamenti che subiva la proprietà, con l'annotazione delle volture a ogni trasferimento di beni. La descrizione degli averi risulta piuttosto generica, la stima alquanto arbitraria, nel complesso la registrazione appare imperfetta giacché fondata soltanto sulle dichiarazioni di coloro che rappresentavano la cappella laicale. Tali "rivele" venivano poi seriamente verificate dagli agrimensori? Una certa oligarchia locale approfittava di codeste approssimazioni? All'epoca l'altissimo tasso di analfabetismo poteva anche indurre all'inesattezza! Valutate le rendite degli immobili, dei beni mobili e gli interessi dei mutui concessi, le entrate della cappella laicale assommavano a circa 5500 ducati, le uscite totalizzavano quasi 3000 ducati, ma detratte le spese gli utili imponibili ammontavano approssimativamente a 2500 ducati: somma in ogni caso rilevante, nonostante il consuntivo risulti piuttosto generico. I luoghi pii secolari e quelli ecclesiali chiaramente non pagavano "testatico" (tributo individuale) o "focatico" (imposta familiare), tuttavia nel settecentesco catasto onciario della comunità di Casoli furono descritti anche gli oneri del prospero santuario. Le somme maggiori erano sborsate ogni anno per festeggiare Santa Reparata l'8 Ottobre, come pure onorare con una fiera il 1° Maggio i Santi Apostoli Filippo e Giacomo (i loro altari rinascimentali sono nella chiesa). Tali celebrazioni comportavano un notevole esborso di ducati per remunerare i sacerdoti locali, i religiosi forestieri, i musici, per elargire cibo, acquistare candele e realizzare i fuochi artificiali. Altre spese erano sostenute per solennizzare il Natale, la Pasqua e la Pentecoste nonché per pagare l'organista che suonava durante le festività importanti. Il clero della chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore riceveva un compenso annuale per celebrare in Santa Reparata fuori le mura due messe basse o lette ogni settimana e due messe cantate tutti gli anni il mese di Ottobre. Si spendevano altri soldi per la conservazione dell'edificio sacro: la manutenzione del tetto, le sue pareti annerite dal fumo dei ceri venivano imbiancate ogni tre anni e lo si teneva provvisto degli arredi liturgici. Bisognava anche retribuire i bovari che si occupavano degli animali vaccini, soprattutto quando li portavano a vendere alle fiere. Costavano le annuali opere di carità ai monaci questuanti, ai pellegrini, ai mendicanti, ai bisognosi del paese e pure il registro dei conti, il materiale di cancelleria, lo scrivano degli atti avevano il loro prezzo. Altri soldi erano erogati per il trasporto, il trattamento e la custodia del grano, del mosto, delle provviste, dei prodotti agricoli in genere. Infine il principe d'Aquino esigeva dalla cappella laicale i tributi di quelle terre sottoposte al suo beneficio feudale. Nella seconda metà del XVIII secolo la gestione patrimoniale delle opere pie secolari di Casoli era poco trasparente, per esempio Domenico Di Camillo, debitore della cappella laicale di San Rocco, temeva don Ferdinando De Nobili che aveva in essa molta ingerenza e si aspettava da lui ogni male se trasgrediva i suoi ordini [11], inoltre l'onnipotente avvocato casolano esercitava una notevole influenza anche sulle altre istituzioni benefiche del paese, non esitava a ricattare e a soggiogare chi da esse aveva ottenuto dei favori. Tuttavia un atto notarile del 1791 svela che ciascun fondaco di codeste fondazioni aveva tre chiavi: «…la prima custodita dall'arciprete, la seconda dal camerlengo, la terza dal delegato al buon governo e alla rettitudine» [12]. A quell'epoca i luoghi pii laicali di Casoli, che come Santa Reparata subivano lo iuspatronato dell'università, esattamente erano: - la cappella di Santa Maria della Candelora o Madonna della Palla (con altare della prima metà del '600 nella chiesa parrocchiale, tale devozione poi svanì); - la Confraternita di San Vincenzo (con altare della seconda metà del '600 nella chiesa parrocchiale, codesto sodalizio fu poco attivo); - la cappella del Santissimo Sacramento e del Santissimo Rosario (con altare nella chiesa parrocchiale, rendeva quasi 1800 ducati); - la cappella di San Gilberto (con altare nella chiesa parrocchiale, fruttava oltre 700 ducati); - la cappella di Sant'Antonio Abate (con altare nella chiesa parrocchiale, produceva più di 200 ducati); - la cappella del Santissimo Nome di Gesù e di San Giacinto (con altare nella chiesa parrocchiale, procurava oltre 800 ducati); - la cappella del Suffragio delle Anime del Purgatorio o Congregazione del Pio Monte dei Morti (con altare nella chiesa parrocchiale e circa 700 ducati di reddito); - la cappella di San Rocco (con proprio luogo di culto sotto il borgo e 460 ducati di resa); - la cappella di Santa Maria Maddalena (con altare che si doveva erigere dentro la chiesa parrocchiale nella nuova navata costruita dopo il 1759, munita di scarse entrate non sopravvisse); - la cappella di San Giuseppe (con altare nella chiesa parrocchiale in quella nuova navata aggiunta dopo il 1759, aveva modesti introiti). Nel '700 a Casoli c'era anche "lo spidale", un ospizio che erogava «…per carità in tutto l'anno ai pellegrini che ricapitano e ai poveri di questa terra, quanto più e quanto meno annui docati ventitre.» Inoltre il paese numerava i seguenti luoghi pii ecclesiastici, tutti muniti di usuali franchigie: - la chiesa ricettizia di Santa Maria Maggiore, matrice della terra di Casoli (con rendite di varia natura, alcune esenti dalle imposizioni fiscali altre gravate solo a metà, inoltre il clero locale incassava le decime sacramentali dei fedeli che ogni anno totalizzavano circa 700 ducati, finché furono soppresse nel 1789 e sostituite con una congrua di 260 ducati complessivi, dopo lunga contesa tra popolo ed ecclesiastici); - la badia di San Pietro di Laroma e di Santa Lucia della Foce (il benefizio fruttava oltre 3400 ducati, tolti gli oneri erano gravati a metà); - la badia di Sant'Agostino (di iuspatronato del feudatario il benefizio rendeva più di 3300 ducati, dedotti i pesi erano tassati a metà). Alcuni luoghi pii ecclesiastici, situati fuori dal tenimento dell'università, erano padroni di terre anche nell'agro casolano dalle quali incassavano rendite fondiarie, tutte protette da privilegi fiscali dopo la sottrazione degli oneri: - la badia di San Carlo (rese stimate 516 ducati); - il benefizio di San Nicola dei Ferrari di Guardiagrele, Commenda di Santo Spirito in Roma (rendite di 234 ducati); - la Prepositura si San Silvestro di Guardiagrele (rese stimate 24 ducati); - il benefizio di San Salvatore alla Maiella di Palombaro (rendite pari a 570 ducati); - il Capitolo della basilica di San Pietro in Vaticano di Roma, padrone della Fara San Martino (rese stimate 2244 ducati); - il monastero di Santa Maria della Civitella di Chieti, comunità religiosa celestiniana dell'ordine di San Benedetto (rendite di 180 ducati). Pare che nell'inverno del 1799, anno dell'effimera repubblica partenopea e dell'invasione del regno di Napoli dovuta alle armate rivoluzionarie francesi, la chiesa di Santa Reparata sia stata saccheggiata dai soldati d'oltralpe approdati a Casoli, inoltre il suo archivio fu incendiato, però di questo evento non esistono sicuri riscontri documentali. Tuttavia sorge il sospetto che amministratori, coloni e fittavoli incamerassero gradualmente grano, vino e olio, riservando poco o niente alla cappella della Martire di Cesarea. Tanti cominciarono pure a considerare di loro proprietà quelle terre i cui prodotti si portavano a casa; dunque in quell'anno di anarchia la distruzione di documenti di molto peso, capitata a proposito, fu poi voluta dai militi francesi indirizziti? L'11 e il 12 Febbraio del 1799 una moltitudine di Casolani aveva partecipato al massacro dell'avvocato don Ferdinando, dei suoi parenti, dei suoi gregari e all'incendio del palazzo De Nobili [13]! Non a caso nell'Ottocento il reverendo don Mosè D'Amico ha scritto: «…dai primi anni del secolo che corre, il santuario andò ogni dì più impoverendo per lo spoglio degli argenti e per le rendite dilapidate, benché la fede non fosse punto intiepidita negli animi dei suoi devoti. Quindi le sue feste si ridussero solamente a funzioni chiesastiche e l'edificio stesso andò rovinando per essere mancate le antiche cure» [14]. Infine la cappella di Santa Reparata fu ulteriormente depauperata dalle leggi eversive della "manomorta", dei beni ecclesiastici, delle opere pie, emanate prima da Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat (sovrani del regno di Napoli succedutisi in età napoleonica), poi dal potere laicale fautore dell'unità italiana. Un regio decreto del Maggio 1817 proibì in tutto il reame napoletano la sepoltura dei defunti dentro i centri abitati e nelle chiese parrocchiali; a Casoli fu allo scopo utilizzato l'edificio sacro suburbano di Santa Reparata. Una lapide murata all'esterno del luogo di culto ricorda: «Lungo lo spianato prospiciente, il municipio nel Gennaio 1886 destinava tre fosse ad ossario degli estinti che dal 1823 popolarono gli avelli di questa chiesa. Altro deposito degli ultimi dell'epoca è sotto la navata dietro questo muro. Per culto di tante memorie un pensiero ai lontani.» A metà Ottocento l'ingegnere Adolfo De
Leone dirigeva la costruzione della strada Frentana, dimorò in Casoli per circa
dieci anni, quindi progettò
l'ampliamento della cappella di San Rocco, il restauro del lato orientale della
chiesa parrocchiale, infine nel 1851 ideò il consolidamento, il recupero
architettonico e artistico della chiesa di Santa Reparata per troppo tempo
trascurata, utilizzata soltanto come sepolcreto, tuttavia il soffitto della
navata centrale inquadrato da formelle di legno dipinte e dorate, bello e
originale, appariva nella desolazione dell'edificio abbandonato come disceso dal
cielo [15].
NOTE [1] Meaolo
G., "I vescovi di Chieti e i loro tempi", Editrice Il Nuovo, Chieti 1996, cfr.
pp.93-94. [2]
D'Amico M., "Officii dè Santissimi cuori di Gesù e di Maria a divozione
della congrega dè Sacri cuori di Casoli", tipografia Del Vecchio, Chieti
1859, cfr. nota 11 e pag. 6 . [3] Fiorentino
N., "In terra Casularum": regesti, volumi I , II e III, cfr. i documenti
relativi ai beni ecclesiastici. [4] Fiorentino
N., Un testo abruzzese del Quattrocento: "La lapide di Santa
Reparata",
Rivista abruzzese 1990 n°1, cfr. pp.51-58. Circa la dedicazione della
chiesa cfr. Pelone F., "Monumenti paesani: Santa Reparata", in Terra madre,
Casoli Ottobre 1949 e Di Cola N., in margine all'articolo "Monumenti
paesani", in Terra madre, Casoli Natale 1949. [5] De
Petra G., "I cognomi delle famiglie di Casoli", Tipografia
R. Carabba, Lanciano 1888, cfr. documento XLII pag.22 e documento
LXIX pag.32. [6] D'Amico
M., "Brevi notizie intorno la fondazione del santuario di Santa Reparata in
Casoli", Tipografia di Federico Vella, Chieti 1853, cfr. pp.10-11 e
Imbastaro P., "Raccolta documenti (1700-1900)", Casoli 1992, cfr. pag.40. [7] Fiorentino
N., "In terra casularum": regesti, cfr. gli atti notarli dei vari volumi
relativi ai beni ecclesiastici. [8] D'Amico
M., op. cit., cfr. pag.11. [9] D'Amico
M., op. cit., cfr. pag.13. [10] AA.
VV., "Il catasto onciario di Casoli 1750", ediz. Tinari, Casoli 2004, cfr. da
pag.484 a pag.498. [11] Scurci
F. S., Nota di fatti e ragioni in difesa della calunniata innocenza
del magnifico Nicola Rossetti di Casoli che si propone alla giudicatura
dell'integerrimo signore don Carlo Crispo avvocato fiscale della Regia
Udienza Provinciale, Chieti 1774, cfr. pag.18. [12] Fiorentino
N., op. cit., volume VII cfr. documento CCXXIV, pp.326-328 e volume IX cfr.
documento CLXVI, pp.178-190. [13] Rossetti
D., "Casoli nel secolo XVIII": lettura fatta il 12 Febbraio 1899, ristampa a
cura del circolo "Mosè Ricci" dell'originale del 1925, Casoli
1978, cfr. pp.35-38. Fiorentino N., "Casoli 1799", Mario Ianieri Editore, Casoli 1999, cfr. documento n° 37:
"Memoria dell'arciprete Casimiro De Vincentiis sui luttuosi avvenimenti
dell'11 Febbraio 1799 in Casoli", pp.146-150. [14] D'Amico
M., op. cit., cfr. pp.10-11. [15] De
Leone A., "Dettaglio e stato stimativo dei lavori occorrenti a restaurare la
chiesa di Santa Reparata in Casoli", relazione manoscritta datata 11 Aprile
1851. |
|