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Redazione il 09/04/2006 alle ore 08:03:19 - sez.
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I beni e le rendite della chiesa di S. Reparata nel Settecento
Beni e rendite di S. Reparata nel 700
di Giancarlo Talone
Il 24 Maggio dell'anno 1568 monsignore
Giovanni Oliva, arcivescovo teatino, approdava
con il suo seguito a Casoli in visita pastorale: «…si viene alla chiesa
di Santa Maria, parrocchiale e arcipretale di detta terra, fatto l'ingresso
processionale e data la benedizione, si conferisce il Sacramento della Cresima
quasi per due ore; poi si visita il Santissimo Sacramento dell'Eucaristia, il
fonte battesimale e il sacrario. Frattanto nella mattinata il reverendo vicario
visita i seguenti luoghi di devozione:
- la chiesa di San Pietro Celestino a
Maiella o in Albano, dentro le mura, dove si celebra
messa molte volte, ne è rettore don Ercole Ferrarino e risulta don Gaspare procuratore
di costui;
- la chiesa di San Giacomo al piano, in cui
si onora solo la sua festa, rimane sempre aperta,
si comanda che la si tenga chiusa giorno e notte altrimenti non vi si dica messa,
ne è rettore don Claudio Caracciolo;
- la chiesa di San Nicola al piano, nella
quale mai si celebra perché è quasi senza tetto,
si ordina che la si ripari, ne è rettore lo stesso don Caracciolo;
- la chiesa di Sant'Onofrio presso il fiume
Aventino manca di porte, si comanda
che vi si celebri solo dopo averle rifatte, ne è rettore il predetto don Claudio;
- la chiesa di San Giacomo al fiume Arido
(rio Secco) è di grande devozione, sfornita
di porte e del tetto si ordina di ripararla con le sue rendite;
- la chiesa di San Rocco compare chiusa e
coperta, vi si celebra messa ogni settimana, ma
senza rendite è in custodia dell'università;
- la chiesa di Santa Liberata fuori le mura
è molto ben custodita, appare di grande devozione,
si impone ai suoi procuratori il controllo dei conti, è annessa all'arcipretura
dunque ne risulta rettore il parroco don Nunziato De Melchioribus;
- la chiesa di San Giustino fuori le mura
sembra diroccata perché il signor barone l'ha abbattuta
cavando le sue pietre per fabbricare un trappeto, ne è rettore don Brundo De
Brundis che deve riparare l'edificio sacro;
- la chiesa di Sant'Angelo e San Nicola fa
parte della terra, nel feudo di Laroma emergono
solo le vestigia, ne è rettore don Giulio Cesare De Luzis di Pretoro;
- le chiese rurali di San Silvestro e di
Santa Lucia sono senza tetti, si comanda al rettore
don Pietro della Fara San Martino di mostrare le bolle delle loro prebende;
- la chiesa rurale di Santa Caterina e
Santa
Maria dell'Avella sembra solo rovina, ne è rettore
il reverendissimo Capitolo di San Pietro in Roma;
- la chiesa di Santa Maria pare soltanto un
rudere nella selva di Laroma, ne è rettore don
Brundo De Brundis;
- la chiesa di Sant'Antonio cura anche
l'ospizio, siccome percepisce rendite si impone ai
suoi procuratori il controllo dei conti.»
Il manoscritto della Santa Visita,
custodito presso l'archivio della Curia Arcivescovile di Chieti, asserisce in
maniera inequivocabile che la Vergine Martire Liberata fu un tempo molto onorata
in terra casolana
Altresì l'iscrizione dell'antica lapide, murata all'interno del santuario
suburbano, rivela che il giorno della festa di Tutti i Santi dell'anno 1447 la
gente di Casoli, affrancata da una grave epidemia, avviò per voto
l'edificazione del tempio, pertanto dedicato a Santa Liberata. Nel 1506 la
devota popolazione chiedeva al pittore marchigiano Antonio di Francesco Di
Tommaso da Fossombrone il trittico con l'effigie della Vergine Martire tra due
angeli. Durante la visita pastorale del 1578, il reverendo vicario
dell'arcivescovo Cesare Busdrago notava che la chiesa di Santa Liberata doveva
essere accomodata e già nella Santa Visita del 1593 gli ornamenti destarono
l'ammirazione dell'arcivescovo Matteo Sanminiati, poi nel 1617 altre decorazioni
furono lodate dell'arcivescovo visitatore Paolo Tolosa .
Dunque nel XVI secolo la chiesa conservava la sua originale intitolazione, ma
all'inizio del Seicento vari atti notarili
cominciarono a citarla anche con l'appellativo di Santa Reparata; ecco perché
tra il 1603 e il 1606 i Casolani affidarono all'artista veneto Vittorio
Buzacarino, dimorante in Lanciano, la realizzazione del soffitto ligneo a
cassettoni decorati con episodi sacri, fecero affrescare le pareti del luogo pio
con scene del supplizio della Santa e posero sull'altare maggiore la sua statua
di legno dorato, finemente somigliante alla Madonna della Cintura (forse
anticamente Vergine del Rosario) esposta nella chiesa di San Rocco. Così dalla
seconda metà del '600 il luogo sacro restò sotto l'invocazione della Vergine
Martire Reparata giacché la parlata dell'epoca aveva mutato la primitiva
dedicazione che foneticamente evocava
il nome della Santa morta per la Fede, in Cesarea di Palestina, durante la
persecuzione dei Cristiani decretata, nel 250 d.C., dall'imperatore romano
Decio. Una simile combinazione subiva il convento di San Giustino, detto poi di
Sant'Agostino. Tale alterazione emerge esplicita anche nelle numerazioni dei
fuochi eseguite a Casoli tra il 1522 e il 1665 nonché negli atti custoditi
presso l'archivio parrocchiale del paese: nel 1650 Berardino Caniglia da
Gessopalena sposava la casolana Liberata De Petra, il rilevamento del 1658
evidenziava che i due coniugi erano nati rispettivamente nel 1622 e nel 1630,
furono ancora censiti nel 1665, ma nell'anno 1700 Liberata De Petra moriva
all'età di 70 anni con il nome di Reparata; nel 1717 Antonio Di Berardino da
Altino sposò Liberata Gasbarro, nel 1720 nacque il loro figlio Urbano, però
nell'atto di battesimo del bimbo si attribuì alla madre casolana l'appellativo
di Reparata
La chiesa a tre navate fu edificata fuori
le mura del paese nel luogo franoso detto dal popolo "contrada delle
lame", era poi un ricovero di eremiti sino al 1830. Inoltre il sacerdote
casolano don Mosè D'Amico, parroco di Furci, a metà Ottocento aveva
bonariamente scritto: «…l'aver scelto quel luogo a preferenza di tanti
altri, rende probabile la
tradizione che dice essersi appunto in quel sito mostrata più volte su un olmo
la immagine di Santa Reparata che portata nella chiesa parrocchiale, con
istupore di tutti fu veduta sempre ricomparire su quell'olmo»
In effetti il santuario fu eretto sul tragitto della "Montaniera" che
dal tratturo delle "terrenove" (dissodate) alle Vicenne e dalla Selva
Piana, per la via della Capretta, proseguiva lungo la valle del Quarto da Capo
dopo le "tornare" (svolte) della Taverna e portava sui pascoli della
Maiella al Guado di Coccia, poi verso Napoli prima del tracciato ottocentesco
della strada Frentana. Tale percorso fu evidenziato in un disegno di Casoli nel
XVIII secolo, custodito a Chieti nell'archivio di Stato. In realtà il suolo
instabile del posto era situato presso una pregevole arteria di traffici verso
le fiere di Lanciano, usata pure come tratturo durante le stagioni della
pastorizia transumante, perciò in seguito gli amministratori civici di Casoli
vi fecero edificare una fontana monumentale chiamata dai cittadini "la
fonte a valle".
I mercanti, i pastori, i viandanti, insomma
coloro che transitavano per quella importante strada, sostavano nel luogo sacro
per ottenere protezione durante il cammino, non dimenticavano le offerte in
natura e quelle pecuniarie. Il santuario acquisì una significativa fama,
richiamò quindi molti pellegrini che imploravano aiuti e indulgenze, nessuno
trascurava le donazioni alle quali si aggiungevano anche i lasciti testamentari
dei devoti abitanti del borgo Con il tempo la chiesa di
Santa Reparata ammassò un cospicuo patrimonio che produceva sostanziose
rendite, fu artisticamente abbellita e dotata di arredi, però l'instabile
costruzione richiedeva costose opere di manutenzione e continui lavori di
drenaggio delle acque per contenere il dissesto idrogeologico del posto
Dai verbali manoscritti del Libro dei parlamenti dell'università di Casoli
(1778-1799) si appura che i beni e i censi del luogo di culto venivano gestiti
con sistemi imprenditoriali dai suoi "procuratori", eletti dai
compaesani capi delle famiglie patriarcali riuniti in pubblica assemblea (nella
seconda metà del '700 la terra contava circa 470 fuochi, cioè quasi 3000
abitanti, popolazione numerosa se riferita all'epoca). Codesti intendenti laici
erano scelti ogni anno per evitare gli abusi di un'amministrazione disinvolta,
la carica era molto ambita da personaggi che preferivano non si riflettesse
troppo sulla sorte di centinaia di ducati, perciò a ogni votazione gli
immancabili interessi faziosi coinvolgevano parenti, amici e compari dei
candidati, speranzosi di qualche profitto.
Chiaramente la chiesa sorse sotto l'egida
del potere spirituale (concesse due anni d'indulto a chi vi si recava
devotamente) e designava l'arciprete del paese suo "rettore"
ecclesiale, ma il santuario fu
fondato soprattutto per volontà dei fedeli, da loro dotato allo scopo di
adempiere alla liturgia, alle opere pie o benefiche, dunque era in passato una
cappella laicale in quanto priva di erezione canonica, senza attestati
onorifici, prerogative e vantaggi. I suoi averi costituivano così un patrimonio
autonomo, erano distinti da quelli ecclesiastici e avevano un'apposita
destinazione, i procuratori laici si servivano del clero secolare locale per gli
atti di culto che richiedevano l'opera di persona rivestita dell'ordine
sacerdotale, quelli più frequenti erano le celebrazioni di messe.
Nel Settecento il santuario raggiunse il
massimo splendore, difatti vi fu sistemata un'alta balaustra di legno intagliato
e il 17 Giugno dell'anno 1744 vi fu collocato un pulpito, opera di un frate di
Lanciano
Nel catasto onciario della collettività di Casoli manoscritto nel 1750, furono
catalogati (dal foglio 316 a quello 327) i beni e i censi della cappella di
Santa Reparata dopo le "rivele" del 1748 e posti tra quelli dei luoghi
pii laicali situati nel territorio comunale. Essi consistevano in fabbricati,
fondi rustici, bestiame e molteplici rendite. Gli stabili erano case, stalle e
fondaci situati nei vari rioni del borgo: alcuni ceduti "a godere",
ossia ipotecati dai fedeli in cambio di mutui non sempre riscattati, altri
acquisiti per uso proprio o dati in affitto, diversi concessi in enfiteusi. Le
proprietà fondiarie ubicate nell'agro casolano erano vigne, poderi, orti, suoli
arativi e seminativi che producevano rendimenti in natura, soprattutto vino e
farro (frumento); molte terre erano alberate con olivi, piante da frutta e gelsi
per allevare il baco da seta. Se non erano lavorate dai braccianti salariati,
esse venivano assegnate con patti colonici diversificati: "a
soprafatto" il coltivatore acquisiva il diritto d'uso della superficie ma
non la proprietà; "a mezza covertura" in cambio di metà tomolo di
grano all'anno per l'assegnazione di un tomolo di terra; "a enfiteusi"
al contadino si dava l'uso illimitato del suolo con
diritto di trasmetterlo ai suoi discendenti; "a censo" una
parte dei prodotti del terreno lavorato erano percepiti dopo il pagamento di un
canone; "a colonìa" l'agricoltore divideva i frutti dei campi con
l'ente pio secondo quote disposte dalle consuetudini. Tutti i fittavoli che
avevano territori, in vari modi attribuiti, dovevano "la corrisposta",
cioè una contropartita annua in denaro o in derrate. Alcuni fondi agricoli
ceduti "a godere" costituivano anch'essi le garanzie ipotecarie dei
devoti che avevano ottenuto dei prestiti (talora non restituiti) con la clausola
di provvedere al "terraggio" (imposta fondiaria). Certi suoli erano
burgensatici (senza vincoli feudali), su altri gravavano i diritti del principe
d'Aquino feudatario di Casoli oppure del conte Baglioni di Civitella. Il
patrimonio zootecnico consisteva in somari, vacche, buoi, maiali, pecore e
capre: le bestie da soma e da lavoro venivano dati "a plattia", ossia
per uso dei poderi concessi ai coloni, ma costoro avevano il permesso di
servirsene per proprio conto pagando una tangente; bovini, ovini e suini erano
consegnati anche "a soccida", vale a dire affidati a mercanzia in
tempo di fiere, il profitto scaturiva dalla vendita degli animali al prezzo più
vantaggioso. Altre rendite della chiesa di Santa Reparata erano gli interessi
dei debiti che i cittadini di Casoli contraevano con la cappella laicale, essi
maturavano ogni anno e con ipoteche sugli averi dei debitori.
Il catasto onciario rivela la natura
patrimoniale dell'opera pia, l'ammontare dei suoi redditi e l'estimo in once
delle imposte da pagare ;
esso era tenuto aggiornato in relazione ai mutamenti che subiva la proprietà,
con l'annotazione delle volture a ogni trasferimento di beni. La descrizione
degli averi risulta piuttosto generica, la stima alquanto arbitraria, nel
complesso la registrazione appare imperfetta giacché fondata soltanto sulle
dichiarazioni di coloro che rappresentavano la cappella laicale. Tali "rivele"
venivano poi seriamente verificate dagli agrimensori? Una certa oligarchia
locale approfittava di codeste approssimazioni? All'epoca l'altissimo tasso di
analfabetismo poteva anche indurre all'inesattezza!
Valutate le rendite degli immobili, dei
beni mobili e gli interessi dei mutui concessi, le entrate della cappella
laicale assommavano a circa 5500 ducati, le uscite totalizzavano quasi 3000
ducati, ma detratte le spese gli utili imponibili ammontavano approssimativamente a 2500 ducati: somma in ogni caso
rilevante, nonostante il consuntivo risulti piuttosto generico. I luoghi pii
secolari e quelli ecclesiali chiaramente non pagavano "testatico"
(tributo individuale) o "focatico" (imposta familiare), tuttavia nel
settecentesco catasto onciario della comunità di Casoli furono descritti anche
gli oneri del prospero santuario. Le somme maggiori erano sborsate ogni anno per
festeggiare Santa Reparata l'8 Ottobre, come pure onorare con una fiera il 1°
Maggio i Santi Apostoli Filippo e Giacomo (i loro altari rinascimentali sono
nella chiesa). Tali celebrazioni comportavano un notevole esborso di ducati per
remunerare i sacerdoti locali, i religiosi forestieri, i musici, per elargire
cibo, acquistare candele e realizzare i fuochi artificiali. Altre spese erano
sostenute per solennizzare il Natale, la Pasqua e la Pentecoste nonché per
pagare l'organista che suonava durante le festività importanti. Il clero della
chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore riceveva un compenso annuale per
celebrare in Santa Reparata fuori le mura due messe basse o lette ogni settimana
e due messe cantate tutti gli anni il mese di Ottobre. Si spendevano altri soldi
per la conservazione dell'edificio sacro: la manutenzione del tetto, le sue
pareti annerite dal fumo dei ceri venivano imbiancate ogni tre anni e lo si
teneva provvisto degli arredi liturgici. Bisognava anche retribuire i bovari che
si occupavano degli animali vaccini, soprattutto quando li portavano a vendere
alle fiere. Costavano le annuali opere di carità ai monaci questuanti, ai
pellegrini, ai mendicanti, ai bisognosi del paese e pure il registro dei conti,
il materiale di cancelleria, lo scrivano degli atti avevano il loro prezzo.
Altri soldi erano erogati per il trasporto, il trattamento e la custodia del
grano, del mosto, delle provviste, dei prodotti agricoli in genere. Infine il
principe d'Aquino esigeva dalla cappella laicale i tributi di quelle terre
sottoposte al suo beneficio feudale.
Nella seconda metà del XVIII secolo la
gestione patrimoniale delle opere pie secolari di Casoli era poco trasparente,
per esempio Domenico Di Camillo, debitore della cappella laicale di San Rocco,
temeva don Ferdinando De Nobili che aveva in essa molta ingerenza e si aspettava
da lui ogni male se trasgrediva i suoi ordini
inoltre l'onnipotente avvocato casolano esercitava una notevole influenza anche
sulle altre istituzioni benefiche del paese, non esitava a ricattare e a
soggiogare chi da esse aveva ottenuto dei favori. Tuttavia un atto notarile del
1791 svela che ciascun fondaco di codeste fondazioni aveva tre chiavi: «…la prima custodita dall'arciprete, la seconda dal camerlengo, la terza
dal delegato al buon governo e alla rettitudine»
A quell'epoca i luoghi pii laicali di Casoli, che come Santa Reparata subivano
lo iuspatronato dell'università, esattamente erano:
- la cappella di
Santa Maria della Candelora
o Madonna della Palla (con
altare della prima metà del '600 nella chiesa parrocchiale, tale devozione poi svanì);
- la Confraternita di San Vincenzo (con
altare della seconda metà del '600 nella chiesa parrocchiale, codesto sodalizio
fu
poco attivo);
- la cappella del
Santissimo Sacramento e
del Santissimo Rosario (con
altare nella chiesa parrocchiale, rendeva quasi 1800 ducati);
- la cappella di
San Gilberto (con
altare nella chiesa parrocchiale, fruttava oltre 700 ducati);
- la cappella di
Sant'Antonio Abate (con
altare nella chiesa parrocchiale, produceva più di 200 ducati);
- la cappella del
Santissimo Nome di Gesù e
di San Giacinto (con
altare nella chiesa parrocchiale, procurava oltre 800 ducati);
- la cappella del
Suffragio delle Anime del
Purgatorio o Congregazione del Pio Monte
dei Morti (con
altare nella chiesa parrocchiale e circa 700 ducati di reddito);
- la cappella di
San Rocco (con
proprio luogo di culto sotto il borgo e 460 ducati di resa);
- la cappella di
Santa Maria Maddalena (con
altare che si doveva erigere dentro la chiesa parrocchiale nella nuova navata costruita
dopo il 1759, munita di scarse entrate non sopravvisse);
- la cappella di
San Giuseppe (con
altare nella chiesa parrocchiale in quella nuova navata aggiunta dopo il 1759, aveva
modesti introiti).
Nel '700 a Casoli c'era anche "lo
spidale", un ospizio che erogava «…per carità in tutto l'anno ai
pellegrini che ricapitano e ai poveri di questa terra, quanto più e quanto meno
annui docati ventitre.» Inoltre il paese numerava i seguenti luoghi pii
ecclesiastici, tutti muniti di usuali franchigie:
- la chiesa ricettizia di
Santa Maria Maggiore, matrice della terra di Casoli (con
rendite di varia natura, alcune esenti dalle imposizioni fiscali altre gravate
solo a
metà, inoltre il clero locale incassava le decime sacramentali dei fedeli che
ogni anno
totalizzavano circa 700 ducati, finché furono soppresse nel 1789 e sostituite
con
una congrua di 260 ducati complessivi, dopo lunga contesa tra popolo ed ecclesiastici);
- la badia di
San Pietro di Laroma e di
Santa Lucia della Foce (il
benefizio fruttava oltre 3400 ducati, tolti gli oneri erano gravati a metà);
- la badia di
Sant'Agostino (di
iuspatronato del feudatario il benefizio rendeva più di 3300 ducati, dedotti i
pesi erano
tassati a metà).
Alcuni luoghi pii ecclesiastici, situati
fuori dal tenimento dell'università, erano padroni di terre anche nell'agro
casolano dalle quali incassavano rendite fondiarie, tutte protette da privilegi
fiscali dopo la sottrazione degli oneri:
- la badia di
San Carlo (rese stimate 516
ducati);
- il benefizio di
San Nicola dei Ferrari di
Guardiagrele, Commenda di Santo Spirito in
Roma (rendite di 234 ducati);
- la Prepositura si
San Silvestro di
Guardiagrele (rese stimate 24 ducati);
- il benefizio di
San Salvatore alla Maiella
di Palombaro (rendite pari a 570 ducati);
- il Capitolo della basilica di
San Pietro
in Vaticano di Roma, padrone della Fara San
Martino (rese stimate 2244 ducati);
- il monastero di
Santa Maria della
Civitella di Chieti, comunità religiosa celestiniana dell'ordine
di San Benedetto (rendite di 180 ducati).
Pare che nell'inverno del 1799, anno
dell'effimera repubblica partenopea e dell'invasione del regno di Napoli dovuta
alle armate rivoluzionarie francesi, la chiesa di Santa Reparata sia stata
saccheggiata dai soldati d'oltralpe approdati a Casoli, inoltre il suo archivio
fu incendiato, però di questo evento non esistono sicuri riscontri documentali.
Tuttavia sorge il sospetto che amministratori, coloni e fittavoli incamerassero
gradualmente grano, vino e olio, riservando poco o niente alla cappella della
Martire di Cesarea. Tanti cominciarono pure a considerare di loro proprietà
quelle terre i cui prodotti si portavano a casa; dunque in quell'anno di
anarchia la distruzione di documenti di molto peso, capitata a proposito, fu poi
voluta dai militi francesi indirizziti? L'11 e il 12 Febbraio del 1799 una
moltitudine di Casolani aveva partecipato al massacro dell'avvocato don
Ferdinando, dei suoi parenti, dei suoi gregari e all'incendio del palazzo De
Nobili !
Non a caso nell'Ottocento il reverendo don Mosè D'Amico ha scritto: «…dai primi anni del secolo che corre, il santuario andò ogni dì più
impoverendo per lo spoglio degli argenti e per le rendite dilapidate, benché la
fede non fosse punto intiepidita negli animi dei suoi devoti. Quindi le sue
feste si ridussero solamente a funzioni chiesastiche e l'edificio stesso andò
rovinando per essere mancate le antiche cure»
Infine la cappella di Santa Reparata fu ulteriormente depauperata dalle leggi
eversive della "manomorta", dei beni ecclesiastici, delle opere pie,
emanate prima da Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat (sovrani del regno di
Napoli succedutisi in età napoleonica), poi dal potere laicale fautore
dell'unità italiana. Un regio decreto del Maggio 1817 proibì in tutto il reame
napoletano la sepoltura dei defunti dentro i centri abitati e nelle chiese
parrocchiali; a Casoli fu allo scopo utilizzato l'edificio sacro suburbano di
Santa Reparata. Una lapide murata all'esterno del luogo
di culto ricorda: «Lungo lo spianato prospiciente, il municipio nel
Gennaio 1886 destinava tre fosse ad ossario degli estinti che dal 1823
popolarono gli avelli di questa chiesa. Altro deposito degli ultimi dell'epoca
è sotto la navata dietro questo muro. Per culto di tante memorie un pensiero ai
lontani.»
A metà Ottocento l'ingegnere Adolfo De
Leone dirigeva la costruzione della strada Frentana, dimorò in Casoli per circa
dieci anni, quindi progettò
l'ampliamento della cappella di San Rocco, il restauro del lato orientale della
chiesa parrocchiale, infine nel 1851 ideò il consolidamento, il recupero
architettonico e artistico della chiesa di Santa Reparata per troppo tempo
trascurata, utilizzata soltanto come sepolcreto, tuttavia il soffitto della
navata centrale inquadrato da formelle di legno dipinte e dorate, bello e
originale, appariva nella desolazione dell'edificio abbandonato come disceso dal
cielo
Area commenti di FaceBook
Per Giancarlo Talone
Spero tu sia il mio carissimo amico e collega della gloriosa IV scuola di Limbiate. Se è così fatti vivo, ti ricordo con tanto affetto ed ho avuto sporadiche notizie da qualche abruzzese.
Ciao, spero a presto.