Una ricerca che indaga sul perchè nella realtà quotidiana e in particolare in quella del mercato del lavoro, la parità fra donne e uomini non si realizza ancora pienamente
Casi di discriminazione di genere
Il lavoro è stato svolto dalle
Consigliere Regionali di Parità Laura
Serantoni e Donatella Orioli, e dall'esperta del
mercato del lavoro Lucia Ramondo di Casoli.
Il 26 Giugno 2007, presso la Sala C di V.le Aldo
Moro n.50 a Bologna, è stata
presentata la ricerca “L’attività delle Consigliere di Parità nella
Regione Emilia Romagna: CASI DI DISCRIMINAZIONE DI GENERE - ANNO 2005 - DATI E
RIFLESSIONI”. Dopo i saluti e l'introduzione a cura delle Consigliere
Regionali di Parità Laura Serantoni e Donatella Orioli, la
Dott.ssa Lucia Ramondo ha esposto i contenuti del lavoro svolto. A
concludere la presentazione è stata la Dott.ssa Alessandra Servidori,
Docente Centro Studi di Diritto Comparato ADAPT.
«Questa ricerca - dice Michele Tiraboschi nella
prefazione - ha il merito di indagare il perché, nonostante gli enormi
progressi compiuti sul piano formale e legislativo, nella realtà quotidiana e in
particolare in quella del mercato del lavoro, la parità fra donne e uomini
non si realizza ancora pienamente anche in una regione come l’Emilia Romagna
che pure sul tema è, almeno rispetto alla situazione del nostro paese, all’avanguardia
e densa di buone pratiche da analizzare e diffondere anche in ambito Europeo.»
Nel grafico non è rappresentata la
Provincia di Parma che non ha
segnalato casi di discriminazione.
«Le Consigliere e i Consiglieri di Parità - dice la
Dott.ssa Lucia Ramondo nel primo capitolo del libro - sono membri di diritto
all’interno degli organismi di governo locale del mercato del lavoro, con sede
presso gli enti territoriali corrispondenti (Regioni e Province); svolgono una
funzione pubblica che persegue l’interesse generale nella realizzazione della
parità sostanziale tra donne e uomini nel lavoro e sono garanti per le pari
opportunità. Hanno dunque un duplice compito istituzionale: la promozione delle
politiche di pari opportunità nell’ambito territoriale di competenza e la
funzione di garanzia del rispetto della normativa antidiscriminatoria.
Nello specifico si occupano di:
• rilevare situazioni di discriminazione basata sul sesso e individuare
procedure efficaci per la loro rimozione;
• promuovere eventuali azioni in giudizio, nei casi di rilevata
discriminazione;
• promuovere azioni positive;
• sostenere le politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, in
materia di pari opportunità;
• diffondere la conoscenza e lo scambio di buone prassi;
• promuovere l’attuazione delle politiche di pari opportunità da parte dei
soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro;
• promuovere azioni volte a favorire la conciliazione dell’attività
professionale con la vita personale e familiare.»
«La direttiva 2006/54/CE - spiega la Dott.ssa Lucia Ramondo
- reca una serie di definizioni relative ai concetti di discriminazione
diretta, discriminazione indiretta, molestie e molestie
sessuali, come di seguito riportato.
Per discriminazione diretta si intende la "situazione nella quale una
persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra
persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga".
Le discriminazioni pesano gravemente sulla parità di opportunità che le
persone dovrebbero avere per crescere e migliorarsi in ambito sociale,
culturale, lavorativo, in quanto non sono motivate dalla valutazione delle
capacità, ma si sviluppano sulla base di pregiudizi, ancora oggi molto difficili
da sradicare.
Si tratta di un fenomeno molto diffuso ma ancora fortemente sommerso e difficile
da identificare anche perché spesso si tratta di discriminazione indiretta,
cioè neutra solo in apparenza, definita come la "situazione nella quale una
disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in
una condizione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso,
rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o
prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi
impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari".»
«Dalle denunce pervenute negli uffici delle Consigliere di
Parità - continua a Dott.ssa Lucia Ramondo - emergono dati
relativi a discriminazioni riguardanti anche casi di molestie e
molestie sessuali sul posto di lavoro. A questo proposito è importante
sottolineare che oggi è possibile parlare di divieti di molestie e di
molestie sessuali perché il diritto comunitario, a partire dal 2000, ha
imboccato la strada di un intervento di hard-law attraverso le tre direttive
citate 2000/43/CE, 2000/78/CE, 2002/73/CE obbligando, in seguito, il legislatore
italiano a regolare il fenomeno. Per molestie si intende la "situazione
nella quale si verifica un comportamento indesiderato connesso al sesso
di una persona avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di tale persona
e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante ed offensivo".
Per molestie sessuali si intende la "situazione nella quale si verifica
un comportamento indesiderato a connotazione sessuale, espresso in forma
verbale, non verbale o fisica, avente lo scopo o l’effetto di violare la
dignità di una persona, in particolare attraverso la creazione di un clima
intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo".
E’ noto che le donne sono le principali vittime delle discriminazioni nel
mondo del lavoro; anche se capaci e competenti pagano il prezzo degli
stereotipi e soprattutto delle difficoltà legate alla conciliazione tra
famiglia e lavoro e alla progressione di carriera. Uno studio realizzato
dall’Area Ricerche sui Sistemi del Lavoro dell’Isfol nel 2005, ha evidenziato i
problemi relativi alla permanenza delle donne al lavoro dopo la maternità.
E’ emerso che, nel contesto nazionale, la maternità rappresenta il motivo
principale di abbandono dell’impiego da parte delle donne e al tempo stesso
un motivo discriminante: la gravidanza è infatti spesso all’origine di
dimissioni, ma anche di licenziamento.»
«A livello regionale, - precisa ancora la
Dott.ssa Ramondo - lo
scenario è ugualmente preoccupante; dai dati del 2005 della Direzione Regionale
del Lavoro dell’Emilia Romagna emerge che, mediamente, si dimettono 5 donne
madri al giorno.
A tale problematica si lega la difficoltà per le donne di progredire
professionalmente poiché, all’aumentare delle responsabilità familiari,
diminuiscono le opportunità di crescere e di far carriera.
Risulta utile a tale proposito approfondire il concetto di segregazione
che sta ad indicare aree e settori lavorativi professionali tipicamente
femminili in cui le donne vanno a confluire sulla base di meccanismi indotti ed
eterodiretti, di natura sociale e culturale. La segregazione orizzontale
fa riferimento alla concentrazione dell’occupazione femminile in un ristretto
numero di settori o professioni, sulla base di stereotipi o pregiudizi di
genere che ritengono le donne più idonee ad alcune mansioni rispetto agli uomini
(nei servizi altamente femminilizzati come scuola, servizi di cura, settore
tessile, area amministrativa, area commerciale).
La segregazione verticale fa riferimento alla concentrazione femminile
ai livelli più bassi della scala gerarchica nell’ambito di una stessa
occupazione, sia in organizzazioni di natura pubblica che privata.
La presenza di segregazione verticale evidenzia l’esistenza di un tetto o
soffitto di cristallo (glass ceiling), una sorta di barriera invisibile che
ostacola il percorso di carriera delle donne, escludendole dalle posizioni
apicali.
Tali fenomeni creano inevitabilmente una forma di segregazione economica
per cui le donne percepiscono assai frequentemente un reddito inferiore a
quello degli uomini, ivi comprese le donne dirigenti.
Dalle riflessioni emerge che le problematiche legate al lavoro femminile
coinvolgono l’ambito delle politiche del lavoro, ma anche quello delle politiche
economiche, sociali e culturali in senso lato.»