Anniversario del bombardamento atomico sulle due città giapponesi. Un vero e proprio crimine di guerra compiuto dal Presidente Truman ma mai riconosciuto come tale
A Hiroshima una bomba da 200 mila morti istantanei
di Fulvio Lo Cicero
La guerra era finita in Europa, con la morte di Adolf Hitler
(30 aprile 1945) e la dichiarazione di resa firmata ai primi di maggio
dall’ammiraglio Karl Doenitz, ma non in Asia, dove il Giappone, alleato
dell’Asse, non aveva alcuna intenzione di deporre le armi. Al contrario, il
governo militare avrebbe continuato le ostilità contro gli americani fino
all’ultimo uomo e lo stesso Esecutivo aveva ripristinato la legislazione di
guerra bellica in base alla quale sarebbe stato passato immediatamente per le
armi qualsiasi persona che avesse intavolato trattative di pace.
L’esercito di Washington aveva prospettato un attacco risolutivo, che si sarebbe
dovuto concludere con l’invasione dell’isola del Sol levante. Ma le incognite
erano notevoli. La stessa conformazione del Paese, con centinaia di piccole
isole ed enclavi, davano la possibilità ai “gialli” di impegnare l’esercito
americano per lunghi mesi. Ci voleva una soluzione diversa, rapida, in grado di
impedire qualsiasi ulteriore volontà bellicista del Giappone.
La bomba
Delle possibilità che una radicale scissione del nucleo atomico nell’uranio 235
e nel plutonio 239 potesse innescare una potentissima reazione a catena, con
l’erogazione di un’energia distruttiva, superiore decine di migliaia di volte a
quella di una normale bomba e che soprattutto gli americani erano in grado di
racchiudere questo meccanismo in una bomba di circa un metro di lunghezza, Henry
Truman non ne sapeva assolutamente nulla quando, il 12 aprile 1945, essendo
Vicepresidente, prese il posto di Franklin Delano Roosevelt. Gli esperimenti per
la messa a punto della “bomba”, infatti, erano restati segreti a Los Alamos,
dopo l’avvio del cosiddetto “Progetto Manhattan”. Il nuovo Presidente fu messo
al corrente del fatto che l’esercito americano era oramai dotato di un ordigno
micidiale, il cui impiego, da solo, avrebbe potuto mettere in ginocchio
qualsiasi potenza militare.
Le ricerche sulla costruzione della bomba atomica erano andate avanti a ritmo
concitato lungo tutto il biennio 1944-45, dopo che i servizi segreti americano e
inglese aveva allertato gli Alleati sulla possibilità che i laboratori nazisti
potessero vincere la gara per la messa a punto del nuovo ordigno. Hitler, in
realtà, aveva sovente cullato il sogno di possedere per primo questo strumento,
parlandone chiaramente con i suoi generali ma, per fortuna di tutta l’umanità,
si trattò pur sempre solamente di un sogno. I fisici tedeschi non riuscirono a
mettere a punto in tempo il processo di controllo della scissione dell’atomo,
trasformandolo in un’arma risolutiva.
Lo scoppio su Hiroshima
Così, toccò a Truman prendere una decisione terribile. Quella di utilizzare per
la prima volta la “bomba” in una guerra e contro la popolazione civile. A Los
Alamos, il 10 maggio, in una riunione operativa dei militari, si decise che i
possibili obiettivi della spedizione dovessero essere: Kyoto, Hiroshima,
Yokohama, o gli arsenali militari di Kokura. Per la verità, la prima scelta fu
Kyoto, la città intellettuale giapponese, i cui cittadini avrebbero potuto
visionare di persona i terribili effetti del nuovo armamento. La seconda scelta
cadde su Hiroshima, a causa di un importante insediamento militare. Ma alla fine
gli abitanti di Kyoto furono salvati dalla decisione di Henry L. Stimson,
segretario di Stato alla guerra, di scartare la capitale culturale giapponese.
La lista degli obiettivi rimase dunque la seguente: Hiroshima, Kokura, Niigata e
Nagasaki. Ma l’obiettivo finale fu scelto in base alle condizioni
meteorologiche. Poco prima del rilascio della bomba, infatti, un B-29 da
ricognizione indicò al comando americano che nel cielo sopra Kogura vi erano
molte nuvole, ciò che avrebbe impedito una visione netta dell’obiettivo da
colpire. E fu così che il destino meteorologico sconvolse i cittadini di
Hiroshima. Alle 8 del 6 agosto tre aerei, l’Enola Gay, The Great Artist e un
altro, successivamente chiamato “Necessary Evil” (che aveva il compito di
documentare fotograficamente l’evento) videro sotto di loro la città
giapponese e, un quarto d’ora dopo, l’Enola Gay rilasciò il suo micidiale
ordigno, “Little Boy”. La bomba scoppiò a circa mezzo chilometro di altezza,
producendo un chiarore allucinante e un fungo di diciotto chilometri di altezza.
Nulla di simile l’uomo aveva mai visto in vista sua. Hiroshima fu letteralmente
rasa al suolo insieme a circa 200 mila persone, morte all’istante. Poco dopo
cominciarono a scoppiare incendi in tutta la città che produssero una notevole
colonna di fumo. Negli anni successivi morirono altre centinaia di migliaia
di giapponesi, per le conseguenze delle radiazioni emesse dall’ordigno.
La reazione dei giapponesi
Alle 8,20, la stazione radio nazionale si rese conto che Hiroshima non
trasmetteva più come avrebbe dovuto. Non si riuscì a comprendere quale fosse la
ragione. Fu così deciso di inviare un aereo in ricognizione con il compito di
appurare la causa di quella interruzione. Poco dopo il suo decollo, l’equipaggio
dell’aereo poté rendersi conto semplicemente che Hiroshima non trasmetteva
perché non esisteva più.
Nonostante con il passare delle ore i giapponesi si rendessero sempre di più
conto dell’immane catastrofe nella quale il loro governo li avesse immersi, non
ci fu un atto di resa immediata come il Presidente Truman forse sperava. Al
contrario, i capi militari proclamarono la mobilitazione generale, anche perché
l’esercito di Stalin stava muovendo le sue truppe per un’invasione della
Manciuria, dopo aver ufficialmente dichiarato guerra al Giappone. Fu così che,
ad appena tre giorni di distanza, scoppiò l’altro ordigno in uno
Il Presidente degli Stati Uniti Henry Truman
dei maggiori porti del Giappone, Nagasaki (9 agosto). Questa seconda bomba cadde
nella Valle di Urakami, dalla quale Nagasaki era divisa da alcune colline di una
certa altezza. Ciò, con tutta probabilità, produsse numero inferiore di vittime
istantanee rispetto a Hiroshima, circa 40 mila.
Solo a metà agosto il comando militare giapponese si rese effettivamente conto
che la guerra si sarebbe conclusa con la distruzione del Paese e, all’inizio di
settembre, firmò la resa incondizionata. «Noi ordiniamo a tutte le Forze
Giapponesi, in qualunque luogo si trovino e al popolo Giapponese, di cessare
immediatamente le ostilità, conservare e salvaguardare da danni tutte le navi,
aerei, militari e civili e di rispettare tutti le richieste che saranno imposte
dal Comandante Supremo Alleato o da agenzie del governo giapponese sotto la sua
direzione» era scritto nella dichiarazione di resa, con la quale i
giapponesi accettavano tutte le condizioni poste da Stati Uniti, Cina e Gran
Bretagna a Postdam il 26 luglio 1945. La guerra era finita anche per il Sol
Levante e nel modo più drammatico. Dal giorno di Hiroshima e Nagasaki, i
giapponesi avrebbero ripudiato la guerra in ogni sua forma e dedicato ogni loro
energia alla ricostruzione, anche grazie alla cooperazione economica degli Stati
Uniti, diventando uno dei Paesi più sviluppati del pianeta.
Il deterrente atomico
Il 6-9 agosto 1945 è diventata una data storica e, soprattutto, la data
simbolo di tutti i movimenti pacifisti mondiali. Dopo il martirio delle due
città giapponesi, non ci fu mai più un’altra esperienza di questo tipo,
nonostante lo sviluppo della guerra fredda e il riarmo atomico fra Usa e Urss
che ebbe il suo culmine con la contrapposizione dei missili a testata nucleare
in Europa negli anni ’80 del secolo scorso.
Per quanto ben poche persone siano disposte ad ammetterlo, l’esistenza
dell’armamento atomico impedì numerose volte lo scoppio di una III Guerra
mondiale fra Occidente ed Urss. Ci si andò molto vicino con l’incidente della
“Baia dei porci” a Cuba (17 aprile 1961), con la quale la Cia cercò di
rovesciare Fidel Castro, sostenuto dai sovietici, con la conseguenza di
provocare una pesante reazione a Mosca e con la radicale contrapposizione degli
anni Ottanta fra Reagan e la dirigenza sovietica (prima Khrushchev, poi
Cernienko e Andropov, prima del disgelo concretizzatosi con l’ascesa di
Gorbaciov). Ma Usa e Urss, anche nei periodi di più aperto conflitto, si resero
sempre conto che una guerra nucleare non avrebbe avuto vincitori.
Paradossalmente, la “bomba” aiutò più a stabilizzare la pace che la guerra.
Fonte:
www.dazebao.org