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Quel misterioso scontro armato sulla Maiella
La banda armata inesistente di Campo di Giove
di Ezio Pelino Può sembrare strano, ma ad oltre sessant’anni dalla guerra c’è ancora da fare chiarezza su più di un avvenimento e recuperare la verità storica liberandola da miti interessati. Non c’è solo la criminalità spacciata per Resistenza, di cui si è interessato Giampaolo Panza, c’è anche la Resistenza post bellum. Inventata. Scriveva infatti, nel 1985, Giuseppe Bolino: ”In Abruzzo i ruolini delle bande e dei raggruppamenti furono compilati a posteriori”. Una di queste bande avrebbe operato a Campo di Giove. Finora la versione ufficiale del tragico episodio al Guado di Coccia è stata quella del capitano Gianfilippo Cangini, e per decenni una storiografia locale ha accreditato uno scontro armato fra la Banda e “preponderanti” truppe tedesche. Ventiquattro membri della banda – una formazione costituita da “plotoni” e fornita di “nascondigli di armi” - sarebbero stati colti di sorpresa al Guado di Coccia, sulla Maiella. Nello scontro sarebbe morto un membro della banda, feriti lo stesso Cangini e uno dei due tedeschi. Per questo episodio i presunti capi, due fratelli, vennero insigniti, con motivazioni analoghe, di medaglia d’argento: “Organizzava un’agguerrita banda con la quale compiva brillanti operazioni di guerra […]. Sorpreso insieme ad elementi della propria Banda da preponderanti forze tedesche, con particolare sangue freddo e supremo sprezzo del pericolo reagiva prontamente ed evitava così l’accerchiamento dei suoi uomini, con i quali, sferrato l’attacco, infliggeva gravi perdite all’aggressore […]. Nel libro “E si divisero il pane che non c’era”, 2009, oltre a riportare i dubbi avanzati sull’esistenza della banda, dal campogiovese Giovanni Presutti nel suo libro “Raus”, 1983, si pongono una serie di interrogativi : ”Come sia stato possibile che, al Guado di Coccia, quel giorno del 18 ottobre del 1943, una banda armata si sia fatta cogliere di sorpresa, priva di turni di guardia? Perché la banda si dileguò mentre l’unico che abbia avuto il coraggio di reagire sia stato un giovane ufficiale friulano che si apprestava a raggiungere il Corpo Italiano di liberazione? Perché non si è preoccupata di portare in salvo i due feriti, De Corti e Cangini, peraltro colpiti non gravemente? ” Interrogativi che nascono dalla sproporzione fra l’enfasi sulla proclamata banda e la pochezza delle sue azioni. Ora, finalmente, disponiamo della preziosa testimonianza dell’allora diciannovenne Italo De Vincentiis, uno dei 24 del Guado di Coccia, oggi ordinario di Otorinolaringoiatria dell’Università “La Sapienza”. Il Prof. De Vincentiis, che avrebbe interesse a proporsi come uno degli eroici membri della Banda, dichiara: “Sull’episodio sono state scritte tante cose inesatte e interessate. Si è detto che eravamo una banda di partigiani, ma non è vero. Eravamo solo dei civili disarmati che scappavano per non essere catturati dai tedeschi durante i rastrellamenti che effettuavano nella zona”. E nel libro “Il ragazzo della valle”, ed. “L’Autore Libri Firenze”, sostiene che il gruppo colto di sorpresa sulla Maiella era composto da conoscenti, ad esclusione del sottotenente friulano Ettore de Corti sopraggiunto proprio quel giorno fatidico e di un altro giovane. Avevano deciso “che nessuno avrebbe dovuto portare armi. Chi le aveva doveva lasciarle per evitare, in caso di cattura, di essere scambiati per partigiani”. “ […] Tutti dichiararono di non avere armi”.”[…] La giornata era nebbiosa, faceva freddo e avevamo acceso il fuoco intorno al quale ci eravamo raccolti in silenzio e pensierosi. Con gli occhi fissi sulla fiamma, nessuno si era accorto di due tedeschi che erano comparsi all’improvviso: uno armato di fucile mitragliatore e l’altro di pistola. Spararono alcuni colpi in aria e, gridando ordini incomprensibili, ci fecero segno di alzare le mani […].” Imposero al gruppo di scendere a valle.” Avevamo fatto appena due o trecento metri quando si sentì un colpo di pistola e il tedesco con il mitragliatore cadde urlando tenendosi la mano sull’addome: aveva sparato il sottotenente dell’aeronautica Ettore de Corti! L’altro tedesco reagì subito sparando con la sua pistola: furono colpiti il de Corti e il capitano Cangini […]. Nel frattempo gli altri erano tutti spariti nella nebbia. Il tedesco che aveva sparato raccolse il fucile mitragliatore e me lo puntò contro: ero l’unico rimasto con il capitano Cangini colpito e sanguinante che mi chiedeva aiuto. Per un momento interminabile su quella cresta di montagna rimanemmo io, il tedesco e i tre feriti: guardai negli occhi il tedesco e mi accorsi che aveva più paura di me. Allora mi feci coraggio e cominciai a fargli capire che avrei portato uno dei feriti a valle e sarei tornato con un dottore. Alla parola “dottore” il tedesco assentì con la testa”. De Vincentiis si caricò sulle spalle Cangini fino al bosco, dove il ferito lo pregò di lasciarlo, facendosi promettere che avrebbe mandato qualcuno a riprenderlo. Mentre scende sente un colpo di pistola e cessano i lamenti del ferito De Corti. Era stato finito, come seppe dopo, con un colpo alla tempia. Cangini fu recuperato il giorno successivo. La testimonianza del Prof De Vincentiis seppellisce la leggenda di una banda armata campogiovese e solleva inquietanti interrogativi sulle mirabolanti motivazioni delle medaglie al valore. Unico eroe era stato un giovane friulano di passaggio. Si dirigeva, infatti, a sud, dove avrebbe raggiunto le forze di liberazione. Fu arruolato, morto, da una banda inesistente. |
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