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Redazione il 07/01/2010 alle ore 12:13:38 - sez.
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Quel misterioso scontro armato sulla Maiella
La banda armata inesistente di Campo di Giove
Quel misterioso scontro armato sulla Maiella
di Ezio Pelino
Può sembrare strano, ma ad oltre sessant’anni
dalla guerra c’è ancora da fare chiarezza su più di un avvenimento e
recuperare la verità storica liberandola da miti interessati. Non c’è solo la
criminalità spacciata per Resistenza, di cui si è interessato Giampaolo
Panza, c’è anche la Resistenza post bellum. Inventata. Scriveva infatti, nel
1985, Giuseppe Bolino: ”In Abruzzo i ruolini delle bande e dei
raggruppamenti furono compilati a posteriori”. Una di queste bande
avrebbe operato a Campo di Giove. Finora la versione ufficiale del tragico
episodio al Guado di Coccia è stata quella del capitano Gianfilippo Cangini,
e per decenni una storiografia locale ha accreditato uno scontro armato fra
la Banda e “preponderanti” truppe tedesche. Ventiquattro membri della
banda – una formazione costituita da “plotoni” e fornita di “nascondigli
di armi” - sarebbero stati colti di sorpresa al Guado di Coccia, sulla
Maiella. Nello scontro sarebbe morto un membro della banda, feriti lo
stesso Cangini e uno dei due tedeschi. Per questo episodio i presunti capi,
due fratelli, vennero insigniti, con motivazioni analoghe, di medaglia
d’argento: “Organizzava un’agguerrita banda con la quale compiva brillanti
operazioni di guerra […]. Sorpreso insieme ad elementi della propria
Banda da preponderanti forze tedesche, con particolare sangue freddo e supremo
sprezzo del pericolo reagiva prontamente ed evitava così l’accerchiamento dei
suoi uomini, con i quali, sferrato l’attacco, infliggeva gravi perdite
all’aggressore […]. Nel libro “E si divisero il pane che non c’era”,
2009, oltre a riportare i dubbi avanzati sull’esistenza della banda,
dal campogiovese Giovanni Presutti nel suo libro “Raus”,
1983, si pongono una serie di interrogativi : ”Come sia stato possibile
che, al Guado di Coccia, quel giorno del 18 ottobre del 1943, una banda armata
si sia fatta cogliere di sorpresa, priva di turni di guardia? Perché la banda
si dileguò mentre l’unico che abbia avuto il coraggio di reagire
sia stato un giovane ufficiale friulano che si apprestava a
raggiungere il Corpo Italiano di liberazione? Perché non si è preoccupata di
portare in salvo i due feriti, De Corti e Cangini, peraltro colpiti non
gravemente? ” Interrogativi che nascono dalla sproporzione fra l’enfasi
sulla proclamata banda e la pochezza delle sue azioni. Ora, finalmente,
disponiamo della preziosa testimonianza dell’allora diciannovenne Italo
De Vincentiis, uno dei 24 del Guado di Coccia, oggi ordinario di
Otorinolaringoiatria dell’Università “La Sapienza”. Il Prof. De
Vincentiis, che avrebbe interesse a proporsi come uno degli eroici
membri della Banda, dichiara: “Sull’episodio sono state scritte
tante cose inesatte e interessate. Si è detto che
eravamo una banda di partigiani, ma non è vero. Eravamo solo dei civili
disarmati che scappavano per non essere catturati dai tedeschi durante i
rastrellamenti che effettuavano nella zona”. E nel libro “Il
ragazzo della valle”, ed. “L’Autore Libri Firenze”,
sostiene che il gruppo colto di sorpresa sulla Maiella era composto da
conoscenti, ad esclusione del sottotenente friulano Ettore de Corti
sopraggiunto proprio quel giorno fatidico e di un altro giovane. Avevano deciso
“che nessuno avrebbe dovuto portare armi. Chi le aveva doveva lasciarle per
evitare, in caso di cattura, di essere scambiati per partigiani”. “ […]
Tutti dichiararono di non avere armi”.”[…] La giornata era nebbiosa,
faceva freddo e avevamo acceso il fuoco intorno al quale ci eravamo raccolti in
silenzio e pensierosi. Con gli occhi fissi sulla fiamma, nessuno si era accorto
di due tedeschi che erano comparsi all’improvviso: uno armato di fucile
mitragliatore e l’altro di pistola. Spararono alcuni colpi in aria e, gridando
ordini incomprensibili, ci fecero segno di alzare le mani […].”
Imposero al gruppo di scendere a valle.” Avevamo fatto appena due o trecento
metri quando si sentì un colpo di pistola e il tedesco con il mitragliatore
cadde urlando tenendosi la mano sull’addome: aveva sparato il sottotenente
dell’aeronautica Ettore de Corti! L’altro tedesco reagì subito sparando con la
sua pistola: furono colpiti il de Corti e il capitano Cangini […]. Nel
frattempo gli altri erano tutti spariti nella nebbia. Il tedesco che aveva
sparato raccolse il fucile mitragliatore e me lo puntò contro: ero l’unico
rimasto con il capitano Cangini colpito e sanguinante che mi chiedeva aiuto. Per
un momento interminabile su quella cresta di montagna rimanemmo io, il tedesco e
i tre feriti: guardai negli occhi il tedesco e mi accorsi che aveva più paura
di me. Allora mi feci coraggio e cominciai a fargli capire che avrei portato uno
dei feriti a valle e sarei tornato con un dottore. Alla parola “dottore” il
tedesco assentì con la testa”. De Vincentiis si caricò sulle spalle
Cangini fino al bosco, dove il ferito lo pregò di lasciarlo, facendosi
promettere che avrebbe mandato qualcuno a riprenderlo. Mentre scende sente un
colpo di pistola e cessano i lamenti del ferito De Corti. Era stato finito, come
seppe dopo, con un colpo alla tempia. Cangini fu recuperato il giorno
successivo. La testimonianza del Prof De Vincentiis seppellisce la
leggenda di una banda armata campogiovese e solleva inquietanti
interrogativi sulle mirabolanti motivazioni delle medaglie al valore. Unico
eroe era stato un giovane friulano di passaggio. Si dirigeva, infatti, a
sud, dove avrebbe raggiunto le forze di liberazione. Fu arruolato, morto, da
una banda inesistente.
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