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L'uomo BOMBA
Tsutomu Yamaguchi, morto a 93 anni era l'unico sopravvissuto ufficiale alle due atomiche sganciate sul Giappone nel 1945. 150 mila le vittime.

L'uomo BOMBA

di Junko Terao

Quando il 6 agosto gli Usa lanciarono la prima, Yamaguchi, l'ingegnere, si trovava a Hiroshima. Il giorno dopo tornò a Nagasaki, la sua città, e il 9 visse la seconda esplosione.
La mattina del 6 Agosto si trovava a Hiroshima per lavoro, sopravvisse al primo bombardamento atomico della storia, non sapeva ancora di che tipo di ordigno si trattasse esattamente. E, soprattutto, non sapeva che di lì a tre giorni gli sarebbe toccato di nuovo, questa volta nella sua Nagasaki. Un doppio appuntamento con la bomba a cui l'allora ingegnere di 29 anni, impiegato alla Mitsubishi Heavy Industries, si è presentato puntuale, cavandosela in entrambi i casi con delle ferite gravi ma non mortali. Avrebbe vissuto altri sessantaquattro anni in discreta salute, in barba alle radiazioni che nel tempo hanno fatto più vittime di quelle causate all'istante dalle due esplosioni.

Il 4 Gennaio 2010, a 93 anni, l'unico superstite a cui sia stato ufficialmente riconosciuto lo status di vittima di entrambi i bombardamenti nucleari si è spento, vinto da un tumore allo stomaco. Una storia che ha dell'incredibile e che lo stesso Yamaguchi, nel corso della sua lunga vita, ha raccontato in libri, testi di canzoni, decine di interviste e conferenze e in un documentario del 2006, «Niju Hibaku» (doppia irradiazione). Definiva il 6 e il 9 agosto i suoi «giorni della morte», in cui sarebbe dovuto morire: «tutto quello che è venuto dopo è stato un bonus», ammetteva.

Quel 6 agosto Yamaguchi, che viveva e lavorava a Nagasaki disegnando petroliere per la principale azienda di industria pesante durante gli anni della guerra, si stava preparando a lasciare Hiroshima. Era arrivato tre mesi prima con due colleghi per lavorare temporaneamente nella sede locale della Mitsubishi H.I.. Nel tragitto verso la stazione si accorge di aver dimenticato qualcosa in ufficio e si separa dai colleghi. È in quel momento che sente il rumore dell'Enola gay, il B-29 americano che trasporta l'ordigno all'uranio ribattezzato dai militari statunitensi «Little boy», che si avvicina. Lì per lì non ci fa caso, il Giappone è in guerra, il rombo degli aerei un sottofondo quotidiano. Un istante dopo, alle 8 e 15, il lampo dell'esplosione lo acceca e lo spostamento d'aria provocato dalla detonazione lo sbalza a terra. L'epicentro è a meno di tre chilometri di distanza, a 580 metri di altezza sopra il centro di Hiroshima: centoquarantamila persone muoiono immediatamente e lui, miracolosamente, sopravvive. La città è un inferno, ragion di più per fasciarsi le ferite e partire il giorno seguente per raggiungere la famiglia a Nagasaki. Il 9 agosto accade l'inimmaginabile: un'altra bomba, questa volta al plutonio, scoppia sulla città portuale e, ancora una volta, l'esplosione lo risparmia. Insieme a lui si salvano anche la moglie e il figlio. Anche in questo caso Yamaguchi si trova a meno di tre chilometri dal punto in cui scoppia la bomba. Un elemento importante, essenziale per garantirgli lo status di hibakusha, di «sopravvissuto all'atomica». Che, in soldoni, significa aver diritto a un risarcimento sotto forma di vitalizio mensile, ad analisi e cure gratuite e alla copertura delle spese per il funerale.
Attualmente sono circa duecentocinquantamila gli hibakusha registrati, ma ancora oggi molti superstiti di Hiroshima e Nagasaki attendono di essere riconosciuti ufficialmente: fanno causa al governo, a volte vincono e ottengono i risarcimenti, altre volte non ce la fanno. Se il governo dovesse concedere lo status a tutti i sopravvissuti effettivi - ce ne sono migliaia - gli costerebbe troppo. Conviene aspettare che alcuni si facciano avanti per vie giudiziarie: il numero di quelli che riusciranno nell'impresa sarà sempre inferiore rispetto a quello degli aventi teoricamente diritto. Addirittura, molti coreani, cinesi e filippini che si trovavano a Hiroshima e a Nagasaki durante i bombardamenti e che hanno lasciato il Giappone subito dopo la guerra, fino a pochi anni fa non avevano il diritto ai risarcimenti, «perchè residenti all'estero». Quanto a Yamaguchi, fino allo scorso marzo solo la città di Nagasaki l'aveva riconosciuto come hibakusha. La nota che attestava la sua presenza anche a Hiroshima il 6 agosto '45, infatti, era stata cancellata nel 1960 perché «complicava l'iter burocratico relativo al suo caso e non gli avrebbe comunque garantito un doppio risarcimento». Ma per lui non si trattava di una questione di soldi: «Se sono sopravvissuto a entrambi i bombardamenti è per compiere una missione».

A metà degli anni '50 è nato il movimento antinucleare giapponese e Yamaguchi, come molti altri hibakusha, da allora si è dedicato alla causa portando in giro la sua testimonianza, dentro e fuori l'arcipelago. Nel 2006 è volato a New York per raccontare la sua storia ai rappresentanti della Nazioni unite e nel frattempo ha continuato nella sua battaglia per il riconoscimento del suo «doppio status», arrivato però solo sei mesi fa. «Adesso che la mia doppia esposizione alle radiazioni è ufficialmente nei registri del governo, la mia vicenda potrà raccontare alle giovani generazioni l'orribile storia dell'atomica anche dopo che sarò morto», aveva dichiarato con soddisfazione il giorno dell'annuncio ufficiale. Un mese più tardi, nell'ormai famoso «discorso di Praga», Barack Obama avrebbe parlato di un «mondo senza atomica» come obiettivo che la comunità internazionale, Stati uniti in primis, deve impegnarsi a realizzare. E lui, Yamaguchi Tsutomu, 93 anni e due bombe atomiche schivate, ha preso carta e penna e ha scritto al presidente. «Voglio credere nella sua determinazione ad agire concretamente per un mondo senza armi nucleari», ha spiegato. La replica di Obama in questi mesi non è arrivata, ma per lui «qualsiasi azione in quella direzione varrà come una risposta». Se mai questa ci sarà, Yamaguchi non avrà fatto in tempo a verificarlo. Se le parole del presidente statunitense non hanno convinto fino in fondo i più scettici, per gli attivisti del movimento antinucleare e soprattutto per gli hibakusha, sono state una pietra miliare. Così come incoraggiante è stato il premio Nobel per la pace che a quelle parole è seguito.

Negli ultimi anni i sopravvissuti alle atomiche hanno ripreso con nuova determinazione le loro attività di testimoni, alcuni sono usciti allo scoperto per la prima volta, dopo una vita vissuta nell'ombra per la vergogna e il timore di essere discriminati: con l'avanzare dell'età aumenta anche la consapevolezza che il tempo rimasto per raccontare è poco. A questa si è aggiunta la situazione particolarmente instabile nella vicina Corea del Nord che preoccupa molto l'opinione pubblica giapponese. Come l'apertura di Obama a Praga, anche il cambio di governo a Tokyo, dove lo scorso agosto per la prima volta è salito al potere il partito democratico, è stato accolto come un incoraggiamento. Per chi si occupa della questione anti-nucleare si tratta per ora di «buone premesse» e chissà che non portino a cambiamenti concreti. Nel frattempo qualcosa di nuovo sul fronte nucleare c'è stato. Poche settimane fa, uno dei figli dell'ex primo ministro Sato Eisaku ha rivelato l'esistenza di un documento segreto firmato da suo padre e da Richard Nixon nel 1969. Il documento riguarda un accordo che permetteva alle navi statunitensi, in caso di emergenza, di introdurre armi nucleari nell'isola di Okinawa. Il fatto che esistesse un patto simile non è una novità, già si sapeva, anche se nessun governo finora l'aveva mai confermato. Sulla vicenda è in corso un'inchiesta e se il documento risultasse autentico sarebbe una svolta positiva e un punto a favore del nuovo governo, che ha promesso di andare fino in fondo alla storia. Uno scandalo se si pensa che Eisaku nel 1974 si è aggiudicato il Nobel per la pace per aver introdotto nella costituzione nipponica i «tre principi antinucleari», ovvero l'impegno a non possedere, non produrre e non introdurre armi nucleari nel territorio giapponese.
Il figlio di Sato ha anche rivelato che il documento indica che durante l'incontro tra Nixon e suo padre i due avrebbero deciso di classificare il testo del patto e di conservarlo esclusivamente alla Casa Bianca e nell'ufficio del primo ministro giapponese. Il documento sarebbe stato trovato nella casa di famiglia nel 1987, dopo la morte della moglie dell'ex premier, ma i figli avrebbero deciso di tenerlo segreto.

Fonte: www.ilmanifesto.it

Inserito da Redazione il 08/01/2010 alle ore 10:01:01 - sez. Storia - visite: 7407