Parla Nicola Berghella, protagonista delle vicende legate alla costruzione della diga di Bomba. "Meglio non svegliare il cane che dorme", afferma preoccupato riferendosi alle trivelle
I laghi di Bomba e di Casoli
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I due bacini artificiali costruiti dall'ACEA, nacquero negli
anni '50 da due sbarramenti di diversa tipologia sui fiumi Sangro e Aventino.
"Quando fu realizzato il lago di Bomba - dice
Nicola Berghella nel
suo racconto lasciato nel gruppo "Salviamo
il lago di Bomba" - non si pensava affatto al lato turistico, ma soltanto
alla produzione di energia elettrica. Si era usciti da poco da una guerra
disastrosa e il turismo era solo un fatto elitario. Per la stragrande
maggioranza - continua - c’era soltanto fame, disoccupazione e tanta
voglia di lavorare ma senza lavoro. Il turismo per il lago arrivò molto più
tardi con l’avvento del turismo di massa e in concomitanza anche con la
costituzione delle Comunità Montane, quando si incominciò a crearne le
infrastrutture."
Di seguito il racconto integrale di Nicola Berghella, una
"memoria vivente" di tutte le vicende legate alla costruzione della diga del
lago di Bomba. Vicende che hanno molto in comune anche con la nascita del
lago di Casoli, a parte la consistenza stessa delle dighe, in quanto,
il serbatoio di Bomba nasce da uno sbarramento in terra battuta del Fiume
Sangro, mentre il bacino artificiale di Casoli, nasce da uno sbarramento in
cemento armato del Fiume Aventino. Nicola Berghella oggi vive a Roma, ma è nato 86
anni fa a San Vito Chietino ed ha lavorato per l’ACEA fino al 1989.
Come nacque il lago di Bomba - Ricordi di un
protagonista
In piedi sul muretto Nicola Berghella.
I tre seduti sono di Casoli: Di Mito Vincenzo, D'Orsogna
Giuseppe e Carulli Remo (Giovannino). In piedi a destra, la
guardia giurata
Taddeo Di Martino di Palena. |
Si è scritto spesso, di convegni, assemblee o riunioni
relativi all’argomento per cui è stato creato il gruppo “Salviamo
il lago di Bomba” dall’estrazione del gas dal sottosuolo, ma credo sarebbe
stato utile sapere se queste manifestazioni siano effettivamente avvenute e
magari leggere qualche resoconto, soprattutto per quelli che non risiedono nella
zona.
Premesso questo, penso sia opportuno dare qualche informazione storica sul lago
di Bomba, soprattutto per i più giovani, e nello stesso tempo fornire tutti gli
elementi tecnici dell’impianto, per soddisfare magari la curiosità di chi
volesse approfondire. A questo scopo fornisco, nella zona “foto”, la
riproduzione di un depliant illustrativo stampato, a suo tempo, dall’ACEA che si
riferisce a tutto il complesso degli impianti sul Sangro, sull’Aventino e sul
Verde; inoltre vi unisco alcune
mie fotografie dell’epoca.
Come ho già spiegato in altra occasione io ho vissuto da
attivo protagonista tutte le vicende degli impianti, prima durante e dopo la
realizzazione; quindi credo possa considerarmi “memoria vivente” (ancora, Grazie
a Dio) dell’argomento.
Intanto c’è anche da premettere che, visto che oggi si sente tanto decantare le
bellezze del lago di Bomba (denominazione rivendicata anche da Colledimezzo,
Villa S.Maria e Pennadomo), quando fu realizzato il lago non si pensava affatto
al lato turistico, ma soltanto alla produzione di energia elettrica. Si era
usciti da poco da una guerra disastrosa e il turismo era solo un fatto elitario.
Per la stragrande maggioranza c’era soltanto fame, disoccupazione e tanta voglia
di lavorare ma senza lavoro. Il turismo per il lago arrivò molto più tardi con
l’avvento del turismo di massa e in concomitanza anche con la costituzione delle
Comunità Montane, quando si incominciò a crearne le infrastrutture.
Per la storia c’è ancora da premettere che all’epoca
l’energia elettrica non era ancora nazionalizzata come lo è oggi, ma c’erano
le società elettriche, grandi o piccole, che producevano e distribuivano
l’energia in ambito locale. La nazionalizzazione avvenne nel 1962 (quando
gli impianti dell’ACEA erano già in funzione), voluta allora dalla sinistra
politica e fortemente sponsorizzata dal leader repubblicano Ugo La Malfa. L’ACEA,
azienda municipalizzata del Comune di Roma , aveva chiesto la concessione per lo
sfruttamento delle acque del medio e basso Sangro e dell’Aventino e Verde per
produrre energia da trasportare nella Capitale. Per tale concessione era in
lizza con la SME (Società Meridionale Elettrica) con sede in Napoli, che già
aveva costruito centrali elettriche sull’alto Sangro fino a Villa S.Maria. Alla
fine l’ACEA la spuntò e realizzò tutto il complesso impianto con centrale di
produzione (denominata “di S. Angelo”) in Selva di Altino, due bacini (sul
Sangro e sull’Aventino), circa venti chilometri di gallerie per un costo
preventivato di dodici miliardi di lire di allora, che poi a consuntivo i
miliardi arrivarono a trentacinque. (La cifra oggi potrebbe sembrare un’inezia
ma all’epoca chi riusciva a portare a casa trentamila lire al mese poteva
considerarsi quasi un benestante.)
Contemporaneamente l’ACEA ha costruito un elettrodotto a doppia terna a 150 KV
per il trasporto a Roma dell’energia prodotta. Con la nazionalizzazione del 1962
tale elettrodotto è diventato naturalmente quasi inutile, poiché con tale
nazionalizzazione tutte le produzioni di energia elettrica in Italia
confluiscono nella rete nazionale, oggi gestita dalla Terna, per essere derivata
dove occorre, dall’ENEL o dalle aziende come l’ACEA (oggi non più azienda
municipalizzata ma S.p.a.).
Nel dare inizio alla costruzione degli impianti non fu facile
fare opera di convincimento presso gli enti locali e le popolazioni per
ottenerne l’assenso. L’avversione era dovuta principalmente al fatto che
l’energia prodotta era destinata ad essere portata fuori dall’Abruzzo. A
nostro favore, come ho già scritto in altra sede, giocò molto la mancanza
assoluta di lavoro nella zona. Ricordo che la maggior parte degli atti
notarili per l’acquisto dei terreni avvenivano, il più delle volte, per mezzo di
procure da parte dei relativi proprietari emigrati all’estero per fame. Da parte
nostra cercammo di alzare il più possibile i prezzi di acquisto rispetto ai
valori commerciali. D’altra parte i terreni stessi erano quasi tutti in stato di
abbandono perchè la piccola agricoltura era in piena crisi. Ricordo anche che,
appunto per dare un certo impulso all’agricoltura morente, su iniziativa
dell’allora sindaco di Bomba, fu costituita la cantina sociale vinicola di Bomba
che a quell’epoca forse era la prima in Abruzzo. Sempre all’epoca in Bomba c’era
un cementificio che proprio in concomitanza con i lavori dell’ACEA chiuse i
battenti perché la qualità del prodotto era scadente e dalle analisi effettuate
non risultò idonea per la fornitura, come si sperava, per i notevolissimi
fabbisogni per gli impianti ACEA.
Così durante gli anni della costruzione ci fu lavoro per
tutti nella zona e l’economia fece un balzo in alto. Alla fine dei lavori
per fortuna cominciò ad avviarsi l’industrializzazione della valle del Basso
Sangro e varie altre iniziative locali che cambiarono radicalmente in meglio
l’economia della zona.
Il complesso dei lavori per la realizzazione degli impianti fu un avvenimento
grandioso. Vi parteciparono le più grandi imprese di costruzioni d’Italia di
allora, quali Costanzi, Cidonio, Ghella, Traversa, Rodio, Bertelè ed altri,
anche locali. Sono stati interessati i territori di ben dodici Comuni e migliaia
di proprietari di terreni.
Da parte mia, come ho già scritto, per le mie mansioni ho avuto modo di
conoscerli tutti; sia le imprese dal punto di vista tecnico (ero specializzato
in topografia), sia i proprietari dei terreni per le trattative di acquisto e i
pagamenti tramite notaio o le procedure coattive di esproprio. Ho curato anche i
rapporti con gli enti locali (Comuni ed enti vari) e le autorità di controllo,
come Genio Civile e Prefettura.
Oramai è trascorso oltre mezzo secolo. Restano i ricordi. Dei protagonisti di
allora credo siamo rimasti in pochi. L’ingegnere Molinas , direttore dei
lavori della diga e opere di presa, molto conosciuto a Bomba perché vi fissò
la residenza per tutto il periodo dei lavori stessi, è morto qualche anno fa, ed
aveva meno anni di me.
E il lago di Bomba è lì per il godimento estasiato dei giovani di oggi con
l’augurio che si riesca ad impedirne la contaminazione da parte degli estrattori
di gas dal sottosuolo. (Nicola Berghella)
I rischi per la stabilità della diga di Bomba in
seguito ad un eventuale impianto di estrazione gas
La diga in terra battuta del lago Bomba
Nel precedente intervento mi sono limitato a descrivere le vicende vissute, da
protagonista, nella realizzazione degli impianti idroelettrici dell’ACEA di Roma
sui fiumi Sangro, Aventino e Verde, in particolare della diga e bacino sul
Sangro.
Successivamente ho avuto modo di informarmi bene su ciò che si progetta di fare
oggi attorno al lago di Bomba, cioè l’estrazione di gas dal sottosuolo da parte
di una società americana, addirittura in prossimità della diga.
Per quanto possa valere il mio modesto parere dico subito che la
realizzazione di tale progetto sarebbe un azzardo gravissimo per la stabilità
della diga e dell’intero territorio circostante, poiché andrebbe certamente a
compromettere il già fragile equilibrio statico dell’intera zona. Tutto ciò
a prescindere dal fattore inquinamento che nessun sistema di sicurezza e
prevenzione potrà evitare.
Quella diga in terra battuta, definita allora la più
grande d’Europa, fu costruita quando non esistevano molte esperienze su quella
tipologia di dighe. Difatti l’ACEA per la bisogna andò a cercare un
ingegnere che aveva diretto la costruzione di una diga di poco conto nel
meridione d’Italia. Quindi molti principi teorici e quasi tutto da inventare.
Oggi, a distanza di mezzo secolo, possiamo dire che tutto è andato bene e
ancora va bene, ma ricordo che durante la costruzione della diga si
verificarono diversi inconvenienti imprevisti, per la tenuta e la sicurezza.
Quando si stava scavando nell’alveo del fiume per l’impostazione della base
della diga, franò tutta la sponda destra che avrebbe dovuto costituire
l’ancoraggio della diga stessa, in località Macinini del Comune di Bomba. Per
fortuna la frana avvenne di notte quando il cantiere era fermo, altrimenti vi
sarebbero state certamente delle vittime. Guardando la morfologia di quel
luogo appariva evidente che la zona della frana non era altro che il deposito di
una antica grande frana. Per la cronaca il costo suppletivo per lo sgombero del
materiale franato ammontò a cento milioni di allora.
Per consolidare il monte Tutoglio che doveva costituire l’ancoraggio sinistro
della diga, verso Pennadomo, si dovettero iniettare diverse migliaia di
tonnellate di cemento, opportunamente miscelato. Questo a causa
evidentemente della porosità della roccia costituente il Tutoglio che sembrava
insaziabile. Sembra incredibile, ma il cemento iniettato riuscì nelle
vicinanze di Villa S. Maria.
Questo fatto appena raccontato, evidenzia quanto sia instabile e
inconsistente tutto il territorio. La maggior parte delle sponde del lago
risulta franosa; in particolare la sponda sinistra, sotto Montebello sul
Sangro, che un po’ somiglia al Monte Toc del Vaiont (e lì c’era una diga in
cemento armato che ha resistito alla valanga d’acqua, altrimenti l’immane
tragedia sarebbe stata ancora peggiore). Immaginate una diga in terra come la
nostra. Meglio non pensarci.
Con questa prospettiva, e con tutti gli scongiuri del caso, penso che sia
assolutamente da evitare l’andare a “sfruculiare” con trivellazioni e
svuotamenti sotterranei proprio lì dove già vi sono costituiti dei pericoli
potenziali, e andare magari a svegliare il can che dorme. (Nicola Berghella)
La lettera inviata alla Regione Abruzzo e al Ministero
delle Risorse Economiche
Premetto che sono un pensionato dell’ACEA di Roma, Nicola
Berghella, abruzzese di nascita, residente a Roma. Ho seguito sin dai primi
sondaggi tutte le fasi della costruzione della diga in terra battuta sul fiume
Sangro, fino al termine e anche negli anni successivi. Sono specializzato in
topografia, quindi mi sono occupato dei problemi topografici della diga e del
bacino, oltre che degli stati di consistenza dei terreni espropriati insieme ai
funzionari del Genio Civile di Chieti, dell’apposizione dei termini di confine
delle zone di rispetto lungo le sponde del lago, e la redazione dei relativi
tipi di frazionamento catastali. Alla fine mi sono occupato anche del
rimboschimento delle sponde del lago con piante di pioppo, fornite dall’allora
Ente per la cellulosa e la carta; operazione che, per la verità, fu un
fallimento per il mancato attecchimento.
Quanto premesso per dichiarare la mia perfetta e completa conoscenza di ogni
angolo del bacino, della diga e di tutte le fasi della costruzione di essa.
Intanto all’epoca, secondo il progetto, quella diga era considerata la più
grande d’Europa in terra battuta, ma di veri esperti non ne erano reperibili per
la direzione lavori; appaltati all’impresa Costanzi. Venne assunto un ingegnere
che aveva costruito una dighetta in terra, di poco conto, nel meridione
d’Italia. Quindi si era un po’ tutti improvvisatori, come fu proprio dichiarato
una volta in una riunione di tecnici.
Durante i lavori, quando dopo deviato il fiume, si stava scavando nell’alveo per
la base della diga, inaspettatamente quello che doveva essere l’appoggio della
spalla destra della diga franò a valle con una massa enorme; per fortuna
l’evento si verificò di notte, così si evitarono numerose possibili vittime.
Forse solo allora ci si rese conto che la morfologia stessa del luogo indicava
che quella era già il deposito di una antica frana. La spalla sinistra della
diga poggia sul monte Tutoglio, di altra natura rispetto alla sponda destra, ma
che ha avuto bisogno di iniezioni di cemento, per consolidarlo, per diverse
migliaia di tonnellate, effettuate dall’impresa Rodio, fino a veder riuscire il
cemento nelle vicinanze di Villa S.Maria. Le sponde del lago sono tutte
franose; in particolare la sponda sinistra, sotto Montebello sul Sangro.
E quella zona rassomiglia tanto al Monte Toc del Vajont, che produsse
quell’immane disastro nel 1963.
Oggi si parla di consentire, ad una società americana, di estrarre gas dal
sottosuolo proprio nelle vicinanze della diga, se non addirittura sotto il lago.
Penso che sia un progetto a dir poco azzardato, assolutamente da evitare,
considerando l’assoluta instabilità dei terreni di tutta la zona. E’ vero
che è trascorso mezzo secolo dalla costruzione della diga e non è successo
niente fino a oggi, ma l’instabilità resta evidente, i pericoli sono potenziali
e latenti, e bisogna tenere conto soprattutto del fenomeno della subsidenza che
è inevitabile, con le sue imprevedibili conseguenze. Ed in caso di possibili
crepe alla diga o di franamenti delle sponde del lago e conseguente
tracimazione, c’è soltanto disastro inimmaginabile per tutta la valle del Sangro
e per tutte le abitazioni e gli insediamenti industriali.
Questa è la prospettiva, non lontano dalla realtà e per niente fantasiosa, con
tutti gli scongiuri del caso. Occorre pertanto evitare di andare a stuzzicare
una zona in equilibrio instabile. A prescindere dalla possibilità, anzi la quasi
sicurezza, di disastri di altro genere, quali gli incendi e le contaminazioni
che proprio in questi giorni si stanno verificando nel mondo, a causa delle
estrazioni dal sottosuolo.
Con ossequi.
Nicola Berghella
Roma, 6 maggio 2010
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