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Addio Domenico Troilo

E' morto ieri, il vicecomandante della Brigata Majella che il 22 Aprile avrebbe compiuto 85 anni

Alle 15,30 saranno celebrati i funerali nella chiesa di Santa Maria dei Raccomandati a Gessopalena

Domenico Troilo alla manifestazione del 6 Dicembre 2003, tenutasi a Casoli per ricordare i 60 anni della formazione partigiana "Brigata Majella":

Domenico Troilo è morto ieri mattina all'età di 84 anni all'ospedale Renzetti di Lanciano.
Le condizioni del comandante Troilo non erano buone da circa un mese: lo scorso 8 febbraio era stato colpito da infarto e ricoverato a Lanciano. Trasferito poi a Pescara per una lunga serie di analisi è stato operato il 16 febbraio per l'applicazione del by pass al San Camillo di Chieti. Ma qualche giorno dopo sono cominciate le complicazioni e ieri mattina, poco dopo le 9 è deceduto.
La camera ardente è stata allestita nella Sala Consiliare della Provincia di Chieti e sarà possibile rendere l'ultimo omaggio al grande comandante fino alle 14,30 di oggi.
Alle 15,30, invece, saranno celebrati i funerali nella chiesa di Santa Maria dei Raccomandati a Gessopalena. Troilo ha lasciato la moglie Nella Trabaccone e i figli Barbara e Alberto.

"La guerra è una esperienza che non merita d’essere vissuta"

Il breve saluto del vice comandante Domenico Troilo alla manifestazione del 6 Dicembre 2003, tenutasi a Casoli per ricordare i 60 anni della formazione partigiana "Brigata Majella":
«È presente la bandiera di combattimento del Gruppo Patrioti della “Majella”, decorata di Medaglia d’Oro al V.M. 60 anni fa, il 5 dicembre 1943, qui a Casoli, si costituì la Banda “Majella”. Era un periodo difficile, drammatico della storia del nostro Paese, della nostra Regione, del nostro territorio. Casoli, presidiata dagli alleati, era il punto di raccolta dei tanti sfollati che fuggivano dalla disperazione della fame, della povertà vera, delle depredazioni, delle angherie e delle sevizie
naziste.
Qui si amalgamarono la rabbia e il desiderio di rivalsa degli individui e dei piccoli gruppi che in molti paesi della zona già operavano.
Qui, grazie al fondamentale contributo organizzativo del compianto col. Ettore Troilo, venne creata la struttura portante di quella che diventerà una piccola grande leggenda italiana: una fetta dell’importante storia della Liberazione della nostra Patria.
Qui ci ritroviamo oggi per ricordare, dopo 60 anni, quelle vicende.
Ricordare per onorare i tanti caduti, ma anche tutti quelli che hanno dato e danno quotidianamente il loro contributo alla libertà e alla democrazia del nostro Paese. Siamo qui anche per ricordare a tutti, in particolare ai tanti ragazzi presenti, che la libertà è  garantita dalla pace e che la pace è una conquista d’ogni giorno. Il contrario è la guerra e, ascoltate coloro che ci sono passati, è una esperienza che non merita d’essere vissuta.
Patrioti della “Majella”, voi vi siete sempre distinti nei combattimenti, dall’Abruzzo ad Asiago; il vostro comandante, riconoscente, vi ringrazia di cuore con un affettuoso abbraccio, perché siete stati sempre tra i primi
».
Alla manifestazione del 6 Dicembre 2003 erano presenti numerosi cittadini insieme alle autorità civili, militari, religiose, i rappresentanti di Gran Bretagna, Russia, India, Polonia, le delegazioni di numerosi Comuni con i relativi gonfaloni, e delle Associazioni combattentistiche e partigiane.

Sulla jeep il Maggiore Lamb (ferito a Recanati il 20 settembre 1944), il Tenente Lesley
(caduto il 31 agosto 1944 a Pesaro) e, in piedi, il Maggiore Domenico Troilo, vicecomandante
della Brigata “Majella”.

Intervista a Domenico Troilo

a cura di Max Franceschelli (dal libro: "la Guerra in Casa")

D: Quando è nata la Brigata Majella?
R:
Secondo quanto è scritto nelle carte, è nata il 5 dicembre del 1943 ed è nata a Casoli, come banda Majella. Di questa banda faceva parte un nucleo di sfollati di Torricella, che poi si riallaccia anche alla storia del periodo in cui morirono le persone a Sant'Agata, che pare che fossero stati fucilati - più che fucilati, bruciati - per un sistema che adoperavano i Tedeschi abitualmente: non c'era sempre una causa per cui dovessero fare un eccidio. Io ho sempre valutato che lo facessero più per paura; non sempre era giustificata, perché secondo il mio punto di vista la nostra zona non era strategicamente così importante: dovevano salvare questa zona perché va sempre ricordato che in quel periodo c'era la Linea Gustav che partiva dal mare, poi rientrava verso Roccaraso e finiva oltre Cassino, e i Tedeschi erano a Cassino.
Siccome sulle due sponde del mare c'erano da una parte gli Americani e dall'altra l'VIII Armata Inglese, l'unica strada da adoperare per il ripiegamento era la zona appenninica intema: questa è la ragione. I Tedeschi secondo me, sparavano anche per paura. Poi erano, come truppa, persone anziane e giovanissimi: ritengo che non avessero avuto neppure un adde- stramento adeguato per una lotta moderna, perché qui non era un fronte chiuso: questa era una guerra di movimento. Gli Inglesi si fermarono, spesse volte i Tedeschi si domandavano: "Ma come mai gli Inglesi si sono fermati sul fiume Sangro?" Perché il fronte italiano era un fronte secondario rispetto a cose che poi abbiamo visto, dopo, rispetto al conflitto o ai diversi fronti che avevamo aperto, e in Italia e fuori, lo sbarco che fecero in Normandia e altro.
I Tedeschi non avevano neppure molta fantasia, anche perché il Tedesco sarà pure un buon combattente, però aveva bisogno di un supporto logistico, come una macchina.

D: Quindi il loro punto debole era la scarsa capacità di riorganizzarsi?
R:
Presi singolarmente c'era qualcuno con cui si poteva parlare, appena messi insieme la cosa diventava insostenibile.
E poi si deve considerare che, quando la guerra è scoppiata nel 1940, la maggioranza dei giovani sono stati richiamati alle armi e sbarcati nei fronti più lontani possibile, a cominciare dall'Africa orientale per finire all'Africa settentrionale, per poi andare a finire in Francia, in Grecia, in tutti questi Paesi. Ma l'Italia non era in grado di fare nessuna guerra.
Perché potevamo fare una guerra con i moschetti che portavano i Ballila che non sparavano? Se ci mettevi una pallottola probabilmente la camera di scoppio saltava via; non eravamo in grado.
La popolazione non ci pensava che qui si potesse fermare la guerra e che i Tedeschi potessero essere sconfitti. Una delle cose importanti che poco si ricorda è che l'8 settembre in queste zone fece una specie di terremoto, perché tutte le Autorità costituite, tutti i servizi vennero annientati: quando le case furono buttate giù qui non c'era il maresciallo dei carabinieri, non c'era il podestà. Ci fu un grande ritorno dei soldati che scappavano dalla Jugoslavia, di quelli che facevano i servizi in Italia e che cercavano di ritornare nei paesini, tanti poi sono stati presi prima di ritornare al Paese d'origine.
Per esempio io mi ricordo che per tornare qua passai per Roma e quando siamo arrivati a Sulmona ci fecero scendere, la popolazione ci fece scendere, dissero: "Appena arrivati a Pescara vi chiudono nei vagoni bestiame e vi porteranno in Germania, in qualche campo di concentramento." Tenendo conto che non era difficoltoso riconoscere chi era soldato: erano tutti ragazzi sbarbati, giovanissimi. I vestiti civili in certi posti si sono trovati gratuitamente ma in altri posti si dovevano comprare dai contadini. Io in Piemonte, ricordo, dovetti dare 300 lire per avere un vestito borghese vecchio.
Io prima della Brigata Majella non avevo un'esperienza militare. Nella mia avventura con la Brigata Majella non ho mai serbato rancore per i Tedeschi, tanto che noi partigiani abbiamo avuto anche una forma di rispetto da parte dei Tedeschi.

La formazione partigiana che prendeva il nome dalla nostra Majella

Ripercorriamo brevemente le fasi salienti della formazione partigiana "Majella" che fu attiva nella guerra di Liberazione dal dicembre 1943 al maggio 1945: sul finire del 1943, tra gli antifascisti attivi sui versanti del massiccio abruzzese spiccava il gruppo dei fratelli Sciubba di Gessopalena, guidato da Domenico Troilo e sorto a Civitella Messer Raimondo il 4 dicembre.
In quegli stessi giorni, giunse a Casoli un altro gruppo, guidato dall’avvocato Ettore Troilo, socialista e sorvegliato speciale sotto il regime. Da questo gruppo nacque il Corpo volontari della Majella, con Ettore Troilo comandante e Domenico Troilo suo vice. La formazione si impegnò con gli Alleati ad agire alle loro dipendenze e a far entrare nei suoi ranghi elementi di ogni estrazione politica, uniti dal comune intento di combattere i tedeschi.
Il 10 gennaio 1944 un plotone comandato dal tenente Luigi Salvati si trasferì nella zona di Civitella. Quattro giorni dopo, i partigiani andarono all’attacco della posizione di Colle Eugenio. Il 19 gennaio erano a Colle Ripabianca e, dopo uno scontro a Lama dei Peligni con forze tedesche in ritirata, persero Marino Salvati, il primo caduto della formazione. In seguito dovettero abbandonare la posizione e rientrare alla base di Selva.
Successivamente, dopo che il numero dei plotoni era salito a 4, i comandanti concertarono un’azione per sbarrare ai tedeschi l’unica via d’accesso alla montagna, in modo da costringerli ad abbandonare la zona. Approntati altri 4 plotoni e individuate le posizioni nemiche, i primi di febbraio l’operazione partì. I tedeschi, costretti a ritirarsi dalle posizioni più esposte, si diedero a distruzioni e sanguinose rappresaglie, trucidando 41 civili a Gessopalena, altrettanti a Sant’Agata e un centinaio a Torricella Peligna. L’abitato di Pizzoferrato divenne allora l’obiettivo principale dei patrioti che, comandati da Ettore Troilo, dal capitano Mancini, da Massimo di Iorio, Nicola Di Rosa, Osvaldo Glieca e dagli inglesi maggiore Wigram e tenente Aixell, attaccarono all’alba del 3 febbraio. Nello scontro i partigiani subirono forti perdite, tra cui Wigram, e dovettero ritirarsi. Pizzoferrato fu abbandonata dai tedeschi in seguito.
In marzo i partigiani dovettero sostenere la pesante reazione germanica, ma i territori di Torricella e Lama rimasero liberi. Nello stesso tempo Ettore Troilo fu convocato a Brindisi dal capo di stato maggiore, generale Giovanni Messe, per disporre l’assorbimento della Majella nei ranghi dell’Esercito italiano in via di ricostruzione, ma la volontà dei partigiani di non dipendere dalle istituzioni monarchiche limitò il passaggio della formazione al piano amministrativo.
La Majella entrò così a far parte della 209^ divisione di fanteria comandata dal generale Giulio Preporrai, col nome di Banda Patrioti della Majella.
Nei mesi di marzo e aprile la linea del fronte si stabilizzò e i partigiani ne approfittarono per assicurarsi il completo controllo
del massiccio centrale.
Il 10 maggio gli Alleati ripresero l’avanzata in direzione di Palena e alla fine del mese apparve chiaro che i tedeschi si apprestavano a lasciare sgombro il campo. Un nuovo tentativo del governo Badoglio di inquadrare disciplinarmente nell’Esercito la Banda fallì; la Majella restò quindi una formazione partigiana. Ai primi comandanti caduti si avvicendarono veterani come Nicola De Ritis e Quirino Di Marino.
All’inizio di giugno, agli ordini del vicecomandante Domenico Troilo e del tenente inglese Lamb, i partigiani si aprirono la strada sull’altro versante del massiccio e avanzarono verso Sulmona, dove giunsero il 13, tra la gioia della popolazione. Nella presa della città cadde Giovanni Rossi, giovanissimo partigiano che, catturato dai tedeschi nella battaglia di Pizzoferrato, era evaso dal campo di concentramento per poter tornare a combattere.
A Sulmona si ebbe la riorganizzazione della Banda: 450 elementi divisi in 6 plotoni impegnati, sul piano operativo, lungo la direttrice Aquila-Fabriano-Pergola.
Liberata l’Italia centrale, la Brigata fu aggregata all’VIII Armata britannica e partecipò alla liberazione del Nord fino alla fine delle ostilità. (tratto da Patria Indipendente del 21-12-2003)

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Inserito da Redazione il 12/03/2007 alle ore 07:36:42 - sez. Storia - visite: 13812