Il parroco Franceso "Don Ciccio" De Pamphilis - Foto tratta
dal sito
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Il parroco di Bugnara, Francesco De Pamphilis,
conosciuto come Don Ciccio, uomo colto, attivo ed energico,
era un convinto fascista e tale è rimasto durante la guerra e dopo.
Nel 1932, a pochi mesi dalla nomina a parroco, per “tutelare l’ordine”
nella notte di Natale, invece di rivolgesi ai carabinieri , come
d’abitudine, fa presidiare la cerimonia religiosa dalla Milizia, della
cui CXXXI legione era cappellano centurione. E si meraviglia persino che
molti e le stesse autorità comunali non approvino. Scrive, infatti,
nella sua Cronistoria parrocchiale (interessante documento di storia
nazionale riflessa nella piccola realtà di paese) che un “gesto
indifferente” era stato fatto passare per “un atto politico e
partigiano”. Ancora oggi, gli anziani del paese lo ricordano in
pubblico in camicia nera. Nel settembre del 1939, allo scoppio
della guerra, nel suo diario non esprime né condanna né preoccupazione
per un evento così terribile, che lui peraltro ben conosce avendo
partecipato, diciassettenne, alla prima guerra mondiale. Annota, invece:
“Invito continuamente il popolo a pregare per l’Uomo provvidenziale
che sta al timone d’Italia e che non deve essere disturbato nella
perigliosa navigazione”. E se in terra c’è il Duce, in cielo, c’è
il santo protettore: ”Come nessun bugnarese cadde nell’impresa
etiopica e spagnola, così siamo certi che nessuno dei nostri figli
subirà danni nell’attuale incendio, per il valevole patrocinio del
nostro Santo comprotettore S. Magno”.
Nel giugno del ’40 scrive: “Dichiarazione
di guerra dell’Italia alla Francia e all’Inghilterra: partenza di molti
giovani per le frontiere delle Alpi e dell’Egitto. Il S. Cuore di Gesù
salvi l’Italia”, che con retorica di regime, definisce “terra di
santi e di eroi”. Nel luglio del ’41, esultando per le prime e
ultime vittorie italo-tedesche nella campagna di Russia, prevede,
facendone oggetto di alcune omelie, che il colosso russo sarà “frantumato
in pochi giorni”, ad opera della Divina Provvidenza: ”Quanto è
grande la giustizia di Dio che dal flagello della guerra fa scaturire
tanto bene, l’annientamento dei senza-Dio”. E continua attento ad
annotare eventi internazionali e nazionali insieme a questioni di vita
paesana. Racconta di piogge scarse e di raccolti insufficienti, di neve,
di fame, di speranze e di sofferenze. Di giovani paesani di cui non si
hanno più notizie, ma su di essi – continua a rassicurare - vigila
sempre S. Magno, e nessun bugnarese morirà in guerra. Ma i fatti
naturalmente lo smentiranno.
Don Ciccio rimane fedele alle sue idee politiche
nonostante i rovesci delle armi nazifasciste si facciano sempre più
insistenti e si avvicini la catastrofe. Solo un accenno di critica
al fascismo di Salò: “vorrebbe rinascere e non si fa scrupolo di
mezzi, pur di prolungare di pochi mesi la sua vita”. Nell’aprile del ’45
scrive che “le truppe tedesche si ritirano demoralizzate” e si
lascia andare a chiamare “nostri patrioti” i partigiani del nord e
persino ad attribuire ad essi l’ azione determinante del crollo tedesco.
Ma non si unisce all’entusiasmo generale, alla festa per la Liberazione
dell’Italia, mentre condanna “il furor popolare“ che “ha fatto
scempio dal capo, Benito Mussolini, fino ai più oscuri gerarchi”. Se
queste erano le sue idee politiche, altro è stato il suo comportamento
durante la dura occupazione tedesca.
Don Ciccio si è prodigato nell’aiutare i suoi
concittadini e tutti coloro che si rivolgevano a lui. Agisce con
diplomazia con i tedeschi, ma di nascosto si preoccupa di prigionieri
fuggiaschi, di ebrei, di giovani che vogliono raggiungere gli alleati
oltre le linee. E’ noto che il sottotenente Ciampi e il filosofo
Calogero si rivolsero a lui per organizzare con la guida di montagna
Domenico Silvestri di Cantone la “traversata della Maiella” (cfr.
Il sentiero della libertà, Laterza, 2003), che proprio alla canonica
bussarono i tedeschi e Ciampi, renitente alla leva di Salò, e Calogero,
confinato antifascista, fecero appena in tempo a scappare da una porta
secondaria. Nella cronistoria Don Ciccio ci informa di aver procurato
carte d’identità a due ebrei minacciati di fucilazione, di aver
requisito, ad evitare rappresaglie, armi e munizioni, e di averle
nascoste in una cassa nei sotterranei della chiesa, di aver dato
ospitalità a molti sbandati e perseguitati politici , di aver unito
privatamente in matrimonio molti che volevano restare nascosti, che si
era assicurato la disponibilità di una casa ai piedi del monte che
sovrasta il paese per ripararvi i prigionieri fuggiaschi. “La
carità cristiana e non altro sentimento m’ha fatto osare”,
scrive.
Ma le precauzioni non bastarono. I tedeschi si
insospettirono quando fu catturata sulla Maiella il 12 marzo ’44 una
squadra di bugnaresi che tentava di passare le linee e
contemporaneamente fu scoperto un fosso nella casetta attigua alla
chiesa della Madonna della neve, dove erano stati nascosti gli arredi
della chiesa e l’argenteria. Dopo un lungo interrogatorio, Don Ciccio
venne arrestato e condannato a morte con giudizio sommario dal
comando di divisione. Solo l’intervento di tutta la popolazione a sua
discolpa, e forse ancor più il fortunato cambio della guarnigione e la
mancanza di prove, indussero gli occupanti a non procedere contro di lui.
E fu salvo. Poi i tedeschi si ritirarono infierendo con “ira
teutonica” su tutto. Fecero saltare tralicci e pali telefonici e
telegrafici, tutti i ponti, quello grande sul Sagittario, l’acquedotto e
le gallerie della rete ferroviaria. Uno scenario apocalittico che
annunciava un nuovo mondo.