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Ilio Di Iorio è da tutti conosciuto a Sulmona come professore, preside, uomo di
grande cultura. Ma, pochi sanno quale giovinezza la patria fascista gli ha
regalato. Ce lo racconta il suo diario, un diario prezioso che egli ebbe la
lucidità e la forza di scrivere nel campo di prigionia. Un documento,
pertanto, se non unico, raro. L’armistizio lo colse in Montenegro. Dall’oggi al
domani, da soldato a prigioniero dei tedeschi. Da uomo a schiavo. N° 86506. Nel
campo di Duidorf, vicino Aquisgrana. Successivamente a Oberhausen Osterfeld, in
Renania. Non un campo di sterminio come quello di Primo Levi, ma “Se questo è un
uomo” potrebbe essere il titolo anche del suo diario. Squallide baracche, lavoro
per dodici ore al giorno, anche di notte, bestie da soma nella miniera di
carbone, verdura lessa, acqua e rape o bucce di patate, con trecento grammi di
pane di guerra. Pane e carbone, che impregna le loro lacere divise, i loro
zoccoli di legno all’olandese, le loro misere cose. Disprezzati, derisi. Gli
italiani tutti, non solo loro, i cosiddetti Badoglio, anche i fascisti e il loro
capo.
Li chiamano, quando li chiamano, “asino vecchio” o “merda”.
Pretendono di essere serviti: “sono obbligato spesso a portar loro il carbone
della stufa”. Per strada i ragazzi, i coetanei di quelli che potrebbero
essere i suoi alunni, sputano loro addosso e li prendono a sassate. Il suo
pensiero va spesso ai suoi genitori, ai fratelli, di cui non sa più niente. Dove
sono, sono vivi, cosa sanno di lui? Lo assilla il dubbio che non riuscirà a “portare
la pelle a casa” , che non rivedrà più la mamma e il padre. Soffre anche, e
tanto, per i suoi amati studi classici interrotti e il suo sogno spezzato di
diventare professore di lettere classiche. Scrive, sconsolato: “La mia
giovinezza è sfiorita in questa prigione di spirito più che di corpo”. Molti
si ammalano di stenti, di polmonite, pleurite, alcuni sono feriti, altri
muoiono. Si sente fiacco, senza energie. Ogni stimolo di vitalità , ogni segno
di giovinezza lo ha abbandonato. Nel campo non c’è alcuna forma di assistenza
medica, solo un soldato polacco di sanità che funge da infermiere. Non basta
l’inferno tedesco, c’è anche quello americano. Anche i liberatori sono loro
nemici. Dal cielo martellano con i bombardamenti. Radono città, ne fanno terra
bruciata. I tedeschi si rifugiano nei rifugi, mentre i prigionieri vengono
scacciati. Persino le cinque baracche che “ospitano” i circa trecento
prigionieri sono squassate per lo spostamento d’aria. Ilio è solo e si sente più
degli altri solo. Scrive : “Tutti i miei compagni hanno chi l’amico, chi
la fidanzata, chi la moglie; ne mostrano le fotografie e godono di essere amati.
Io non ho nessuno”. Ma nel tentativo disperato di consolarsi aggiunge:
“Forse è anche meglio”.
In quel deserto di amore, in quel mondo violento e feroce
lo riscalda il pensiero che solo la famiglia è un’oasi felice: "In questo mondo solo i
genitori amano i loro figli. Solo nella famiglia l’uomo trova il suo conforto e
la sua pace; al di fuori tutto è cattivo". “Sono stanco degli uomini, voglio
vivere isolato”. La nostalgia della patria è straziante: "Ora sento di
amare l’Italia, la mia gente. In queste giornate tristi penso all’azzurro cielo
della mia terra , ai suoi prati verdi, alle sue catene montuose. Il mio Abruzzo
mi pare ora proprio tutto d’oro”. Una tristezza infinita penetra nella carne
e nelle ossa. Viene in mente il lamento di Quasimodo, ”E come potevamo noi
cantare con il piede straniero sopra il cuore…”, a leggere che “gli
italiani, dappertutto conosciuti per la loro gaiezza e per il loro canto, ora
qui deportati non cantano più. I loro volti sono tutti venati di tristezza; sono
giovani dai venti ai trent’anni, ma ne mostrano ben di più”. Non è facile
spiegare in quale angolo del suo spirito straziato egli riesca a trovare
un’infinita pietà per le donne del campo, alcune adolescenti, costrette ad
essere il sollazzo della razza superiore.
Sono riflessioni struggenti: “Povere ragazze, per forza di cose hanno
dovuto darsi e sono state violentate e ora hanno preso l’abitudine a questa
vita, perdendo ogni sentimento morale, mal vestite e mal nutrite, ricevono solo
disprezzo e considerazione di razza inferiore“. “ Povere donne, sotto
quei luridi stracci tante volte si vedono dei visi dall’espressione distinta,
che indicano la loro nobile origine pur nell’abbrutimento presente”. Succede
di tutto in quel mondo in cui “la bestialità è diventata l’unica espressione”
dei padroni. Un russo ammazzato con un colpo di rivoltella sparatogli da pochi
centimetri mentre stava rubando tre patate, uno pugnalato e un altro colpito con
la pistola al ginocchio per una piccola infrazione. Egli teme per il suo diario,
se dovesse capitare nelle mani dei carcerieri, quale sarà la propria sorte?
Pensa di distruggerlo, ma lo nasconde come può. Il nazismo è alla fine , ma la
propaganda non si arresta. Per un giornale, il General Anzeiger, gli americani,
quelli che distribuivano cioccolata, chewing gum, whisky e sigarette, portano la
fame, tanto che 600 casi di antropofagia si sarebbero verificati fra la
popolazione.
Chiunque avrebbe fatto patti con il diavolo per uscire da quell’inferno. Ma
quando, nel dicembre del ’44, un delegato del Fascio si presenta per reclutare
volontari per le S.S. della Repubblica sociale di Salò, nonostante le lusinghe,
riesce a racimolare appena una decina di volontari.
Gli alleati sono oramai vicini. I prigionieri devono scavare trincee per
l’ultima disperata folle resistenza. Ilio fugge con alcuni compagni, si ripara in
un fabbrica di vetro abbandonata. Si sono liberati dei carcerieri ma non hanno
più nemmeno quella maledetta gamella di brodaglia schifosa. Sono alla fame
totale. Frugando disperati trovano sacchi di mangime per cavalli. Ha il sapore
della sabbia, ma è commestibile. Finalmente saranno liberati dai paracadutisti
americani. Ma la casa è ancora lontana. Ci vorranno, incredibilmente, cinque
mesi per raggiungerla. Era partito a 19 anni, ne aveva ora 25. Sei anni dati
alla patria governata da un folle.
Nel 1972 , la guerra è ormai lontana, Ilio riconosce, dalle foto dei
giornali, nell’appena eletto Segretario generale dell’Onu, Kurt Waldheim, quel
feroce tenente tedesco, biondo, longilineo, astuto come una volpe, che, in
Montenegro, dopo l’armistizio, aveva ordinato di uccidere sul posto un soldato
italiano per aver barattato una coperta e che aveva ingannato tutti loro
promettendo di portarli a Trieste e liberali, mentre, ammassati su carri
bestiame scoperti, senza cibo e senza acqua, li aveva destinati ai campi di
concentramento in Germania. Sulla stampa veniva esaltato come “un grande
combattente per la libertà e la pace nel mondo”. La sua prestigiosa carriera
politica continuò con l’elezione a Presidente Federale d’Austria. Solo allora si
seppe che si trattava di un criminale di guerra, che aveva eseguito rappresaglie
brutali contro i partigiani iugoslavi e contro civili e deported most of the
Jewish population of Salonika (Thessaloníki), Greece, to Nazi death camps in
1943, deportata la maggior parte della popolazione ebraica di Salonicco nei
campi di sterminioWaldheim admitted that he had not been candid about his past
but disclaimed all knowledge of or participation in wartime atrocitie. Sugli
anni della Seconda Guerra Mondiale aveva taciuto, inventandosi un suo definitivo
rimpatrio nel 1941 a seguito di una ferita. E’ morto recentemente. Non ha mai
pagato per i suoi crimini.