Il Prof. Franco Cercone
Rendiamo noto un articolo del Prof. Franco Cercone
pubblicato il 23 maggio 2011 sulla rivista on line
www.abruzzopopolare.it e segnalatoci dall'Associazione "Casulae Club".
La curiosità sul granturco citato in un rogito notarile del 1720 che il
Prof. Nicola Fiorentino stava esaminando per la stesura dell’opera
"In
Terra Casularum", fu preannunciata dall’autore durante
l'incontro nel nostro paese organizzato da "Casulae Club" il
17 Ottobre 2010. Secondo il Prof. Cercone, Casoli vanta una “leadership”, essendo
il primo paese in cui si
fa menzione del granturco in Italia.
Di seguito il testo dell'articolo
Nel 1833 vide la luce a Teramo, per i tipi dello
Stampatore Ubaldo Angeletti, il terzo volume della monumentale opera
dello storico teramano Nicola (Niccolò) Palma, dal titolo Storia
Ecclesiastica e Civile della Regione più settentrionale del Regno di
Napoli. Oggi Città di Teramo .. Don Niccolò era Canonico della
Cattedrale Aprutina e si comprende pertanto come la sua ‘Storia’ fosse
ricca di importanti documenti conservati per lo più nella Cattedrale a
Teramo ed in parte anche negli archivi parrocchiali dell’epoca.
Ora nel
descrivere le conseguenze della funesta carestia del 1764 in Abruzzo,
ritenuta - bontà sua - un ‘castigo di Dio’, il Palma sottolinea che “da
quell’epoca si propagò fra i nostri contadini l’uso di seminare il gran
turco” ( ‘turco’ in senso di ‘esotico’), meglio conosciuto con il nome
di frumentone e soprattutto con quello di grano d’India, donde la
designazione dialettale di grandinio che persiste tuttora nei vari
dialetti abruzzesi. Si tratta di una interessante osservazione, quella
del Palma, avallata ancora oggi dagli storici dell’agricoltura.
Alle carestie infatti, specie a quelle ricorrenti nel corso del XVIII
secolo, viene attribuito il merito di aver accelerato l’introduzione dei
rivoluzionari prodotti originari dell’America, fra cui appunto il mais,
che si diffondono tuttavia nella nostra Penisola in modo difforme e
soprattutto in tempi diversi. Così per restare in tema L. Messedaglia
nel suo noto Saggio "Il mais e la vita rurale italiana" (Piacenza 1927)
ricorda che il granturco alla prima metà del ‘600 era “pressoché
sconosciuto in Lombardia” e la famosa ‘polenta’ di Renzo, descritta ne I
promessi sposi, era fatta con farina di grano saraceno e non di
granturco. Le ricerche storico-agronomiche erano rimaste pertanto
ancorate in Abruzzo a questa notizia del Palma e l’introduzione del mais
si riteneva dovuta alla grande carestia del 1764, che mieté vittime
soprattutto nella cosiddetta costa di maggio, una tipica espressione che
incute oggi ancora terrore nella mente dei vecchi contadini. Si trattava
di un periodo corrispondente all’incirca alla prima decade del mese di
maggio, nel quale a causa dell’intenso freddo nel mese di aprile (fenomeno tuttora ricorrente) le scorte della famiglia contadina erano
ormai esaurite, mentre sui campi per le rigide temperature ancora non
apparivano i prodotti del nuovo ciclo coltivatorio, essenzialmente i
piselli e le fave (sulla ‘sacralità’ di quest’ultimo legume torneremo
sicuramente nella nostra Rubrica Scaffale Abruzzese).
Ora è avvenuto
recentemente che Nicola Fiorentino, illustre storico di Casoli (Ch),
si sia imbattuto nelle ricerche condotte per la stesura dell’opera "In
Terra Casularum" in un rogito notarile del 1720, in cui un contadino
reclama nei confronti di un nobile casolano il rimborso delle spese
sostenute per l’acquisto di grano d’India da somministrare ad una
trentina di maiali malnutriti ed in pericolo di vita.
Siamo - giova ripeterlo - nel 1720, quasi mezzo secolo prima rispetto al
periodo ipotizzato dal Palma in merito all’introduzione del mais in
Abruzzo. Ma v’è un ulteriore aspetto di rilevante interesse nel
documento scoperto dal Fiorentino: il grano d’India infatti non veniva
coltivato in agro Casolano come alimento dell’uomo ma solo come mangime
per gli animali da cortile. Il passo sarà tuttavia breve e nel giro di
pochi anni la fame, in questo caso ‘buona consigliera’, porterà alla
scoperta della polenta e della pizza al coppo che costituiranno per
circa due secoli il cibo quotidiano del diseredato mondo rurale,
sottratto così alla morte per fame. Il grano d’India lasciò tuttavia
tracce indelebili come fondamentale e spesso unico alimento del mondo
rurale (la prima notizia della presenza della patata in Abruzzo risale
al 1789).
La viaggiatrice americana Maud Hove ci parla infatti nel suo romanzo
"Roma Beata", pubblicato a Boston nel 1891, di un suo breve soggiorno a Roccaraso, ormai raggiungibile dalla Capitale grazie all’apertura della
linea ferroviaria Sulmona - Castel di Sangro. La scrittrice narra di
aver osservato non senza meraviglia estese macchie rossastre sulle
braccia e sul collo delle donne di Roccaraso per cui, incuriosita,
chiese informazioni al riguardo all’anziano medico condotto del paese.
“è la pellagra - spiegò il medico - una malattia che colpisce chi si
nutre solo di polenta e pizza di grandinio”, cioè la povera gente, che
pagava con il marchio della pellagra lo stimolo della fame, madre di
tutte le miserie. E forse non passerà molto tempo, prima che le vetrine
dei nostri negozi si riempiano di sacchetti di farina gialla. Gialla
come l’oro…
Franco Cercone