Guido Letta fu un convinto assertore e un rigoroso attuatore
delle leggi razziali del 1938. Da una sua lettera del 1939
indirizzata “ai fascisti podestà e commissari prefettizi” egli appare
addirittura più razzista del Duce. Chiede, infatti, una separazione
più incisiva degli ebrei dagli italiani, radicalizzando le diposizioni
in merito: ”L’applicazione rigorosa delle leggi razziali, come era
nelle direttive del Gran Consiglio, conduce ad una inevitabile
conseguenza: separare quanto è possibile gli italiani dall’esiguo gruppo
di appartenenti alla razza ebraica [...].Occorre favorire nei
modi più idonei e opportuni questo processo di lenta ma inesorabile
separazione anche materiale. Su queste direttive richiamo la vostra
personale attenzione e vi prego di farmi conoscere le iniziative, che
d'intesa coi Fasci, prenderete al riguardo e i risultati ottenuti".
La recente intitolazione ad Aielli di una piazza al prefetto Guido
Letta e il busto a lui dedicato, mi sollecitano a richiamare
un libro scritto da un ragazzo ebreo internato con la famiglia a Navelli,
perché si sappia che gli ebrei erano perseguitati anche in casa nostra.
Un libro del tutto sconosciuto in Abruzzo, pubblicato
stranamente dall’amministrazione provinciale di Milano e colà diffuso.
Dal diario di Luigi Fleischmann “Un ragazzo ebreo nelle
retrovie”, La Giuntina, 1999, veniamo a sapere che alcune famiglie
ebree erano “internate” a Navelli. Si tratta di una preziosa
testimonianza di quella dura esperienza. Il padre di Luigi, segretario
della comunità ebraica di Fiume, a seguito delle leggi razziali del ’38,
viene internato prima a Notaresco, poi a Ferramonti in
Calabria e infine a Navelli. Il resto della famiglia lo segue
dall’aprile del ’43. Vivono, anzi si industriano a sopravvivere con
altri ebrei e con alcuni confinati politici. L’assurdità delle
discriminazioni che li ha colpiti è messa in evidenza dal comportamento
della popolazione che, in contrasto con le disposizioni di regime,
dimostra profonda umanità nei loro confronti e li aiuta come può.
Le loro condizioni erano simili a quelle dei
confinati. Avevano l'obbligo di presentarsi due volte al giorno ai
locali carabinieri, non potevano oltrepassare il perimetro loro
assegnato nell'ambito del territorio comunale e avere rapporti con la
popolazione locale né occuparsi di politica, leggere senza
autorizzazione pubblicazioni estere, possedere apparecchi radio. Anche
la corrispondenza con i familiari era sottoposta a censura, mentre per
scrivere ad altre persone occorreva una particolare autorizzazione. Dopo
l’otto settembre, gli stessi carabinieri italiani, conoscendo la
spietata determinazione dei nazisti, li mettono in guardia. Vivono sotto
falso nome, nel continuo timore di essere scoperti. La prospettiva, se
riconosciuti, è il trasporto in Germania e la morte in un campo di
sterminio. Ma nessuno del paese li tradì. Per farsi animo ascoltano
clandestinamente radio Londra ma gli entusiasmi iniziali si smorzano di
fronte alla tenace resistenza tedesca sulla linea Gustav. Il giovane
Luigi osserva e annota diligentemente le minute vicende quotidiane,
connotate dagli avvenimenti bellici, dalle incursioni aeree, dai
rastrellamenti, dalle difficoltà di alimentarsi, dai contatti con il
nascente movimento di resistenza locale.
Finalmente, la liberazione. Si annuncia con l’arrivo
della Banda patrioti della Maiella. Scrive, felice, Luigi il 16
giugno 1944: “Attraverso le montagne, è arrivato ad
ingrossarci un plotone della Brigata Maiella, che fa da avanguardia alle
truppe inglesi, le quali dovrebbero stare forse a tre chilometri dalle
nostre posizioni. Questi ragazzi della Maiella hanno un aspetto feroce,
carichi di armi e cordoni di proiettili. Sono armati più pesantemente di
noi. Ma, di bombe a mano si riforniscono al nostro deposito, quello
catturato da noi.”
Ezio Pelino